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stato, nostro lato oscuro? · 2006-11-05 by mmzz

Man mano che mi addentro nei fondamenti dell’esistenza sello stato e piu’ mi convinco che i tentativi di giustificarne l’esistenza in modo razionale peggiorano una situazione gia’ delicata di suo.

Per qualche motivo che forse capiremo e forse no, sentiamo come comunita’ umana di darci una gerarchia, e di attribuire al vertice delle facolta’ che ad altri sono negate. A giustificare questo basterebbe il comportamento di altri primati, mammiferi, vertebrati, che fanno esattamente come noi. E chissa’ magari anche loro si chiedono perche…

I guai cominciano quando ci chiediamo chi e perche’ deve stare al vertice, e di conseguenza come ci deve arrivare in base a regole sufficientemente condiviste da non essere contestate a ogni pie’ sospinto.
Tutti apparentemente concordano che la cosa abia a che fare con il concetto di liberta’. E gia’ qui cominciano a complicarsi le cose perche’ la liberta’ per qualcuno si pesa, per altri si conta.

Kant sostiene che per decidere gli individui devono aver iniziato a percorrere il cammino dell’illuminismo, cioe’ hanno deciso di decidere con la loro testa, anche a costo di sbagliare. In particolare dice che nessuno mi puo’ costringere ad essere felice a suo modo. Ciascuno deve decidere per se, va bene. Libero di sbagliare, bane. Ma in democrazia una maggioranza di errori fa una ragione? Se pur mi basta essere convinto del mio bene, questo non garantisce che i fatti dimostrino che lo sia. Per Kant la legge fa rispettata anche se salta la mia felicita’. Obbedire!

Carlo I, dal patibolo, arringa il popolo e gi ricorda che si deve scordare che governare sia faccenda che lo riguardi, che si accontentino di obbedire a leggi eque, e tanto basta.
Hannah Arendt comprende che piu’ che cattiveria e’ per salvaguardare la produttivita’ della societa’, e chi al potere ci arriva, da qualsiasi strada provenga, a questa stessa conclusione inevitabilmente giunge, dato che appunto la felicita’ del popolo soprattutto da questo dipende.

Due visioni dell’uomo, dunque: fiducia illimitata o condizionata.
Bierce direbbe che il torto e’ un’opinione diversa dalla nostra, e con questo liquida ogni tentativo di stabilire oggettivamente chi ha ragione e chi torto. Non resta che fidarsi…

Dunque sembra che sia impossibile governare facendo il bene della collettivita’ sapendo di farlo e sapendo di non sbagliare.

Dopo questa premessa, torniamo allo stato: a lui il monopolio della violenza ne cives ad armas veniant, a lui le porcherie dell’arcana imperii, che non sia il singolo a doversi imbrattare (e che non ne sappia nulla!). A lui le scelte di sovranita’ che non hanno alcuna legge sovrastante, per definizione. Allo stato dunque la collettivita’ delega la propria ombra, il proprio lato oscuro, e naturalmente cerca di giustificare questo mandato ammantandolo di principi adamantini, che non vi siano dubbi sulla legittimita’ delle neventuali efandezze delegate.

Salvo stupirsi, dopo aver consumato questa schizofrenia, di quanto buio puo’ essere il proprio lato oscuro. E piu’ alta e dettagliatamente formulata la giustificazione, piu’ profonda la scissione, piu’ profondo l’abisso in cui lo stato sprofonda. Il XX secolo ci ha regalato tre guerre per la liberta’, inclusa quella fredda. Questa pare essere la quarta. Tutto rigorosamente codificato, legittimato. Eppure abbiamo Guantanamo, Abu Graib, Beslan, i suicidi…

Go vertebrate! · 2006-11-02 by mmzz

Breve flash intuitivo.

La gravita’, ci hanno insegnato, limita fisicamente la dimensione degli organismi. La natura, nel tempo, ha sviluppato vari mezzi per crescere, e superare i limiti strutturali delle scelte adattative precedenti. Una di queste, una delle piu’ importanti, sembra sia stata quella di abbandonare l’esoscheletro, quella corazza che tiene le budella dentro, e riorganizzare le masse attorno a uno scheletro robusto al quale le budella vanno in qualche maniera appese da fuori.
Questo cambiamento di paradigma, da dentro a fuori, e’ quanto accade a mio avviso anche alle realizzazioni umane: nascono con l’idea di tenere le cose dentro, ma dopo un po’ non ce la fanno, e devono ricorrere a altri sistemi. Tipicamente una ossatura robusta e forti legami.

F/OSS mi pare seguire questa linea: cio’ che l’impresa produce, il software, sta fuori, non chiuso nella corazza di una impresa singola, ma sfrutta una architettura esterna, uno scheletro infrastrutturale dato dalle comunita’ che lo seguono, e dei forti legami per tenere il tutto insieme senza che si disperda. Questo permette di sviluppare progetti piu’ grandi, piu’ articolati, che sfidino meglio quelle leggi che ne limitano dimensione ed efficienza.

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Revolution permanente et ascension salariee · 2006-11-01 by mmzz

Debord definisce paradisi permanenti, che collocano fuori dal tempo, sia la rivoluzione permanente sia l’ascensione a uno stadio superiore di carriera, in attesa che si manifesti la (beata) speranza di vedersi avverato quanto promessoci dalla societa’ dello spettacolo. Questo colloca chi spera in una vita sospesa fuori dal tempo in costante attesa.
Ceux qui n’ont pas encore commence a vivre mais se reservent pour une meilleure epoque, et qui ont donc une si grande peur de vieillir [et] n’attendent rien de moins q’un paradis pemenent, l’un le place dans une revolution permanente et l’autre, c’est par fois le meme, dans un stade superieur d’ascension salariee. En somme ils attendent que ce soit devenu accessible ce qu’ils ont contemple’ dans l’imagerie inversee du spectacle. Une unite’ heureuse eternellement presente.

Quello di rendere un fatto eternamente presente e’ (Jung [i simboli della trasformazione?]) un ruolo sacro attribuito al rito e ai suoi ufficianti, coloro che costruiscono il ponte tra il mondo e il suo doppio eterno. In questo caso l’eterno si colloca nella speranza non di un mondo ultraterreno, ma terreno benche’ collocato in un futuro perennemente irraggiungibile, prolungato indefinitamente nel tempo. Paradiso fisico, non soprannaturale e nemmeno artificiale, ma altrettanto irraggiungibile.

Prosegue Debord, a delineare cio’ che accade a voler rimanere nel tempo, e a vedersi quindi attribuire, per volr rimanere fuori dal rito, il ruolo di fantasma e principe delle tenebre.

Mais ceux qui on choisi de frapper avec le temps savent que leur arme est egalement leur maitre, et qu’ils ne peuvent s’en plaindre. Il est aussi le maitre de ceux qui n’ont pas d’arme et maitre plus dur. Quand on ne veut pas se ranger dans une clarete trompeuse du monde a l’envers on passe en tout cas parmis les ses croyants pour une legende controversee, un invisile et malveillant phantome, un pervers prince des tenebres. Beau title apres tout, le systeme des lumieres presentes n’en decerne pas de si onorables

professione: autostoppista galattico · 2006-10-31 by mmzz

Chi sei? solitamente viene tradotto in cosa fai? L’individuo e’ identificato dal suo ruolo nella catena produttiva, che definisce competenze e appartenenze. Sulla carta d’identita’, oltre ai dati biometrici, il genere, l’eta’, e allo stato familiare (opzionale, viola la privacy) c’e’ la professione. La mia identita’, chi sono, e’ dato da cosa faccio, quale ruolo ricopro nella supply chain globale, nella divisione del lavoro.

Non e’ previsto che un individuo possa ricoprire piu’ ruoli, o nessuno: che abbia identita’ poliedriche, autoreferenziali o di fantasia. Per quale motivo non posso scrivere sotto professione; “autostoppista galattico”? Sono salumiere, ma potrei essere altrettanto pittore, poeta, esperto mondiale di orologi a cucu’ antichi, fan di star trek o ricoprire un ruolo di ilievoin un gioco online. Porei sentirmi identificato da questi ultimi forse piu’ che dal primo, ma sara’ il ruolo ricoperto nella catena economica globale a identificarmi.

Questo e’ destinato a cambiare? Non mi riferisco solo alla maggiore instabilita’ del mondo del lavoro, Dalla rivoluzione industriale in poi, il processo di identificazione fa riferimento alla propria posizione nella catena di produzione di beni materiali: imprenditore, scienziato, banchiere, impiegato, inventore, operaio, addetto … Se e’ vero che e’ in corso una trasformazione nella societa’ e che la catena sara’ sempre piu’ focalizzata sulla trasformazione delle informazioni invece (o affianco) a quella della materia, le professioni dovranno subire una trasformazione analoga. Necessariamente si dovra’ tener conto della minor definitezza delle operazioni di manipolazione delle informazioni e di quanto sia vaga la sua trasformazione in conoscenza. Gia’ abbiamo le professioni relative alla programmazione dei calcolatori che si inseriscono in questa categoria, ma ve ne sono molte altre non ancora contemplate.
Ad esempio io potrei definirmi “operatore sintetico” o, secondo la moda ingegneristica, “synthesis engineer”.

Un altro passo… Il socialismo e’ nato attorno alla suddivisioni in classi determinate dalla rivoluzione industriale. In un processo di identificazione centrato maggiormante attorno alla trasformazione delle informazioni e della conoscenza portera’ a k-professioni. Questo processo identifichera’ nuove classi? Quali saranno i principi che le reggeranno?

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Sul potere · 2006-10-27 by mmzz

Mi pare di notare due tendenze:

1) Il potere si giustifica in ultima istanza col possibile uso della forza, ma tra il suo uso e il non uso sta l’ampiezza di quel “in ultima istanza”, che pare fortunatamente estendersi col passare degli anni. Come pare sempre meno legittimo l’uso delle misure fisiche nell’educazione dei bambini, sempre piu’ difficilmente il potere legittimo giustifica le proprie scelte con la minaccia del ricorso alla forza o con la messa in atto della minaccia stessa. Non solo, il ricorrervi e’ sempre piu’ sospetto, come fosse una confessione di non avere altri argomenti e motivazioni.

2) Mi pare che sempre piu’ si vada diffondendo in modo forse non esplicito ma comunque tangibile il fatto che chi e’ soggetto al potere e ne riconosce la legittimita’, in qualche modo ritiene di avere autorita’ non sul potere ma sulla legittimazione stessa. Mi spiego meglio: se obbedisco ai comandi, se rinuncio a qualche grado di liberta’, lo faccio perche’ questo in qualche maniera rappresenta un valore o un mio interesse, anche come membro di una collettivita’. Ma nel momento in cui di questo non ho percezione mi sento autorizzato legittimamente a contestare la legittimita’ del potere.

Queste due tendenze, ammesso che siano vere e che realmente il potere si basi esclusivamente sulla forza, non spingono forse verso un “depotenziamento” del potere o una sua crescente limitazione e, in ultima istanza, dello stato, sua manifestazione territoriale? Quali forze contrastano questa tendenza? E’ possibile vedere il crescente ricorso all’uso della forza fuori dai confini dello stato come una dimostrazione dell’esercizio di una forza non manifestabile “a casa”?

lode all'avalutativita' · 2006-10-26 by mmzz

da Bobbio teoria generale della politica

So bene che e’ difficile spogliarsi delle proprie preferenze; ma appunto qui sta la nobilta’ dello scienziato, come l’imparzialita’ e’ la virtu’ del giudice: a nessuno verrebbe in mente di suggerire a un giudice che, essendo difficile essere imparziale, tanto vale non esserlo

Non sono sicuro che non verrebbe in mente a nessuno, purtroppo.

La bellezza commovente di questa affermazione e’ la fede nella possibilita’ di una impresa che si conosce come ardua, la cui riuscita sta unicamente nello sforzo di chi la compie, senza aiuti da una realta’ intrinsecamente parziale. La nobilta’ di chi la compie nobilita l’impresa, e viceversa.

L’affermazione di un curato di campagna, che proclama un verbo in cui non crede piu’, solo per la salvezza per chi lo segue? Non voglio crederlo.

Politica dimensione pubblica della speranza · 2006-10-26 by mmzz

Guardando dal punto di vista dell’individio e non da quello delle istituzioni o dell’economia, mi pare sempre piu’ chiaramente che la spinta alla partecipazione politica venga dalla speranza.

Questa puo’ declinarsi piu’ semplicemente in interesse individuale immediato, ovvero speranza di ricavare un vantaggio anche banalmente monetario, fino alla speranza riposta da grandi collettivita’ nell’ideale anche piu’ utopico, la speranza di un mondo migliore che una particolare forma sociale o economica potra’ offrire.

La continua prossimita’ della politica con la religione, e il continuo sovrastarsi tra loro suggeriscono l’esistenza della sovrapposizione delle rispettive sfere di influenza: la religione struttura ed orienta le speranze individuali, dando risposte in particolare sulla speranza ultima, quella di sopravvivere alla morte, mentre la politica risponde alle speranze terrene.

La sopravvivenza dell’individualita’ oltre la morte e’ in potere di una autorita’ divina che la subordina in molte religioni al retto comportamento, che definisce un’etica, La speranza di vita e il timore della morte sono un potente motivo di rispettarla, ma non l’unico. Questa viene a far parte (o forse ne discende) dei valori personali e sociali e tesse la trama delle relazioni e dei comportamenti.

L’ortoprassi e la conseguente ortodossia (la fede e le opere), e il continuo ridefinirsi l’una dell’altra, individuano dei valori che acquistano valenza universale nella loro comunita’ di riferimento, e si riversano sulle norme sociali, e quindi sulle leggi. Da qui spesso la pretesa di chi ha autorita’ sull’etica di avere autorita’ sulle leggi, Di qui il conflitto tra autorita’ religiose e civili nel caso non vengano piu’ riconosciuti i valori e venga minata l’autorita’.

Ma e’ possibile tra religione e politica non sovrapporsi? In particolare, occupandosi la religione di ortoprassi, come e’ possibile non ingerire nella sfera della normazione dei comportamenti sociali? Questa sembra essere in particolare l’esperienza di paesi in cui il potere politico ha tratto legittimazione dall’autorita’ religiosa.

Mentre la religione mette al vertice della scala delle speranze quella piu’ remota nella vita, quella che giace oltre l’ultimo ostacolo, e vi subordina le altre, la politica deve ordinare le speranze in base alle spinte di chi la alimenta: dovranno essere le speranze degli affamati, dei ricchi, dei vecchi, dei giovani, degli immigrati?

Forse per questo motivola scienza politica vuole cosi’ ferocemente distinguersi dalla filosofia politica, dalla risposa alla domanda “come mi devo comportare”, perche’ troppo spesso la porta ad incrociare la sua strada con quella della religione?

Questa della politica e’ l’arena delle speranze contrapposte, piccole, infime e grandi.

Partita doppia · 2006-10-24 by mmzz

Sul Golgota, I ladroni a sinistra e a destra della croce si chiamavano ‘’dare’’ e ‘’avere’’.

Magritte e i nudi d'oggetti · 2006-10-11 by mmzz

Magritte desocializza gli oggetti, che nascono giá socializzati, ovvero integrati e perfettamente adatti nel loro ruolo sociale; li estrae dall’interazione appropriata ed adeguata che hanno con noi e li strappa al loro ruolo mettendoli in contesti inattesi, inappropriati, inadeguati.
Cosi’ facendo dona loro la liberta’ che non hanno e che non si possono prendere da soli. La loro passivitá alle leggi che regolano la natura limitano e definiscono l’architettura del loro mondo al punto da costringerli alla passivitá del ruolo imposto.
Percio’ gli oggetti di Magritte generano imbarazzo e talvolta riso o sorriso, perche’ questa e’ la reazione al comportamento incurante del ruolo e della corretta interazione.
Eppure dovrebbero generare indignazione per l’operazione rivoluzionaria di liberazione, per il detournement, il sovvertimento di leggi ferree. Tuttavia la rassicurante verosimiglianza degli oggetti rappresentati, la palese inintenzionalitá dei comportamenti incongrui che Magritte impone loro e il suo garbo nel rappresentarli, le sue immagini restano innocenti ed incolpevoli. Dopo averli spogliati dai loro comportamenti siano essi dettati dalle leggi di natura o dall’uso degli uomini, magritte li ritrae puri, nudi. Quelli di Magritte sono dei nudi d’oggetti.

La riflessione continua qui

Majorana · 2006-08-18 by mmzz

In questo articolo, O. B. Zaslavskii ipotizza che Majorana abbia costruito deliberatamente uno scenario ambiguo per la sua scomparsa, in modo da riprodurre il comportamento “sovrapposto” di una particella, che si trova simultameamente in piu’ stati, o meglio in uno stato probabilistico indefinito. Quale ad esempio vivo e morto.
Majorana non avrebbe messo in scena questa rappresentazione a scopo didattico o spettacolare, ma a suo proprio beneficio. Sia per sentirsi veramente libero, anche di suicidarsi, sia per rendere credibile una scomparsa per cambiare vita come il fu Mattia Pascal.
Zalavskii risulta convincente. Trascura due aspetti: il primo, esclude la via del chiostro in modo piuttosto sbrigativo. La vita seclusa preserva la sovrapposizione di stati sul crinale. Il secondo, di cui non dice nulla: Majorana in uno dei suoi messaggio accena al fatto che probabilmente viaggia con il messaggio stesso che il destinatario sta leggendo, Sarebbe interessante approfondire la riflessione metaforica basandosi su questa affermazione. La particella porta con se il proprio messaggio ambiguo, Questo arriva a destinazione anche senza quella.

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