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Tikkun Olam, etica ed estetica · 2022-06-15 by mmzz

La locuzione ebraica tikkun olam è composta dalla parola olam ovvero “mondo” e tikkun che viene dal verbo letakken che può essere reso con “riparazione”, “correzione”, “restaurazione” [1]. Letteralmente, “riparazione del mondo”. Il mondo anglosassone rende la locuzione con “repair of the world” o “mend the world”.

Benché la locuzione sia ben consolidata nella mistica, nella religione e nella cultura ebraica, il concetto rappresentato non è sempre lo stesso: alla base sta la constatazione che il mondo non è perfetto e richiede all’uomo di agire correttamente per renderlo migliore.
Il concetto mistico (cabalistico) è elaborato da Luria ed è impossibile qui renderne la complessità, di difficile comprensione: possiamo riportare quanto ne dice G.Sholem. Il Tikkun è il processo col quale Dio stesso si ritrae dal mondo per crearlo, ma anche quello che compie la personalità in divenire dell’uomo.

The development of man through the stages of conception, pregnancy, birth and childhood, to the point where the developed personality makes full use of its intellectual and moral powers, this whole process appears as a bold symbol of the Tikkun in which God evolves His own personality. […] The process in which God conceives, brings forth and de­velops Himself does not reach its final conclusion in God. Certain parts of the process of restitution are allotted to man. Not all the lights which are held in captivity by the powers of darkness are set free by their own efforts; it is man who adds the final touch to the divine countenance; it is he who completes the enthronement of God, the King and the mystical Creator of all things, in His own Kingdom of Heaven; it is he who perfects the Maker of all things! In certain spheres of being, divine and human existence are inter­twined. The intrinsic, extramundane process of Tikkun) synbol­ically described as the birth of God’s personality, corresponds to the process of mundane history. [2]

Nella visione mistica della cabala di Luria, dunque, uomo e Dio si complementano nell’azione di tikkun olam, e oltre a definirsi, collaborano nella costruzione del mondo.

Nella religione ebraica, il termine è usato per definire le azioni che riparano ai danni del male che si è introdotto nel mondo: si va quindi dalle semplici azioni quotidiane, atti individuali di tikkun che ricuciono i piccoli strappi; è tikkun anche il riparare se stessi; è un concetto religioso di responsabilità sociale e giuridica nella giusta conduzione della società [3], la necessità individuale di riparare ai torti commessi o uno spirito di servizio; infine il termine viene usato riferendosi alla necessità di affrontare la più estrema manifestazione del male: la resistenza alla Shoah e il rendere impossibile il suo ripetersi [4]. Va anche registrato che non sempre vi è concordia nell’uso del termine, considerato da alcuni come applicato in modo troppo estensivo.

Un vasto spettro di possibili azioni che rispondono a una comune postura, quella della responsabilità individuale e sociale nei confronti dell’ambiente in cui l’azione umana può esercitare un effetto, per renderlo migliore.

In sintesi mi pare sia una dottrina che orienta il fare nel/sul mondo per renderli migliori, più integri. O meglio l’agire sui mondi: mondo interiore, sociale, politico, il cosmo come unità spirituale. Azioni, beninteso, connesse, in quanto “Cosmic and social tikkun is, in effect, set into motion through personal tikkun” [5]. Questi mondi non sono integri, sono corrotti o incompleti, e vanno emendati tramite l’azione umana. Proprio dell’uomo è avere un ruolo attivo e consapevole in in mondo complesso.

Questa dottrina avvicina l’uomo e la divinità nella capacità di agire. Da una parte l’uomo: pur non essendo creatore ha la competenza e il potere di riparare il mondo. Dall’altra il creatore del mondo che in qualche misura limita la sua azione o se ne astiene: possiamo spingerci fino ad immaginare una creazione lanciata nell’esistenza ma non attivamente guidata: vascello senza nocchiero, in preda all’entropia, e l’uomo che si affaccenda per non affondare con, e in, esso.

Un filo di pensiero, che non posso qui seguire, porterebbe al rapporto della dottrina di tikkun olam con il pensiero filosofico occidentale e quello di matrice cristiana che ha portato all’illuminismo e al ruolo dell’uomo in un mondo lasciato libero nell’azione da una divinità storicamente negata.

Un secondo filo, ambientale, porterebbe alle domande su quale sia il mondo riparato dall’uomo: il proprio ambiente è diverso da quello di altre specie. Questo aprirebbe alla riflessione su quale sia l’ambiente dell’uomo e quale la sua responsabilità nei confronti di chi. Inoltre, qual è il criterio per l’azione? Agendo solo in base alla propria capacità di previsione e mancando dell’onniscienza divina, come può sapere di agire per renderlo migliore e non di peggiorarlo? Anche questo filo non può essere seguito qui.

Quello che qui mi interessa sono due sfumature di dettaglio molto distanti dai grandi temi e forse irrilevanti: il rapporto con un certo concetto di hacker come di colui che agisce eticamente per “rendere migliore il mondo” (“make the world a better place” di R. Stallman) attraverso la propria competenza tecnologica; e quello dell’artista, la cui azione cattura, elabora e restituisce una porzione di sofferenza e la rende, spesso inconsapevolmente, in un’opera che risponde ad una estetica. Beninteso non tutti gli artisti soffrono e non tutti gli hacker agiscono per il bene.

Nella descrizione cabalistica della creazione vi è una rappresentazione della dinamica dell’atto creativo:

In its interpretation of Creation, the Zohar describes “a spark of impenetrable darkness” […] flashing within Ein-sof; Scholem (1995) terms this the “crisis” that turns Ein-sof from repose to creation. What spurred this crisis? According to the Zohar, it was the ripple of desire for expression and manifestation within the hidden recesses of the Infinite that caused Ein-sof to withdraw into Himself so that a finite world could be created. (Starr p.71)

Il ritrarsi in se (tzimtzum) crea un vuoto che dà luogo a una cascata di complessi eventi tra i quali la creazione del mondo e l’inizio del processo di tikkun, che in parte, come abbiamo visto, non è più responsabilità del creatore. L’iniziativa creativa nasce da rottura di un equilibrio interno che alla fine si manifesta come irruzione nel mondo, come messa al mondo dell’opera. Ma con questa manifestazione avviene una rottura dell’unità tra creatore e opera, per cui anche lo spettatore o il testimone dell’opera è coinvolto nella riconciliazione tra opera e creatore. Una parte dell’opera non sta nel creatore, ma in chi ne viene investito. L’opera esce : è importante, perché sia tale, che vi sia ostensione dell’opera.

L’artista, o l’hacker, che grazie alla sua competenza (“arte”) agisce sul mondo, dà una forma alle forze interne che fino a quel momento non erano manifeste, ma la sua opera investe gli altri, testimoni, utenti, spettatori: in questo essi non sono mai solo passivi, da una parte perché risuonano dell’impatto dell’opera nella loro esistenza, dall’altra perché contribuiscono, con la loro risposta e nell’interazione con l’opera, all’identità dell’artista o creatore. Da una parte la loro restituzione sull’opera ricompone, riconcilia, ripara la frattura tra il creatore ed essa, ma anche si innescano continue fratture in altri che diventano a loro volta creatori: una reazione a catena per cui l’attività creativa non è mai individuale.

Cosa ricaviamo da questa riflessione? Forze interne spingono ad agire nel mondo, espongono parte di noi fuori dal nostro controllo, alla mercé di quello che c’è fuori. Questo comporta la necessità di una riconciliazione, di una ricomposizione con ciò che è rimasto fuori, e ciò può avvenire attraverso la restituzione in termini etici (l’opera è buona) ed estetici (l’opera è bella). Questa restituzione non può avvenire che attraverso altre opere di altri, che così le riconducono (o meno) all’unità. Una infinita catena di azioni generano il mondo così come lo conosciamo, e conosciamo il mondo solo attraverso le fratture interiori che l’agire sul mondo, nostro e altrui, innesca.

1 Luca De Angelis La correzione della giornata. Note ebraiche a Italo Svevo , in Benussi, “Storie di Ebrei fra gli Asburgo e l’Italia” Gaspari, Udine, 2003

2 G.Sholem, Major Trends in Jewish Mysticism , 1941

3 Gerald J. Blidstein, Tikkun Olam, Tradition: A Journal of Orthodox Jewish Thought, Vol. 29, No. 2 (Winter 1995), pp. 5-43

4 E. Fackenheim, To Mend the World; Foundations of Future Jewish Thought. New York, N.Y. Schocken Books, 1982.

5 Karen E. Starr, Repair of the Soul. Metaphors of Transformation in Jewish Mysticism and Psychoanalysis , Routledge, 2008