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Ma alla fine, a che serve la politica? · 2007-02-11 by mmzz

Viene il dubbio che tutta la machinery della democrazia e del consenso serva, più che a garantire che le persone giuste vadano al potere per attuare determinate politiche, che ne stiano lontane quelle più palesemente sbagliate. E non sempre riesce.

Le politiche vanno avanti grossomodo da sole grazie a rough consenus and running administration (cfr rough consensus and running code) , ovvero senso comune e una amministrazione burocratica funzionante.
Forse il più delle volte conta più l’iniziativa di un dirigente innovatore sostenuto dai suoi uffici che l’iniziativa politica di un ministro.

Ho l’impressione che il governo serva, più che alla decisione di politiche coerenti nell’interesse pubblico, a controllare un potere che con la somministrazione di violenza pubblica contrasti eventuali abusi di violenza privata. Il resto è sovrastruttura innescata dai complicati meccanismi necessari perché la democrazia funzioni: peccato che il potere attiri proprio i voraci appetiti che dovrebbe servire a moderare.

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Marie Antoinette · 2007-01-17 by mmzz

Il film Marie Antoinette di Sofia Coppola presenta una regina di Francia sorpresa che una folla inferocita ed affamata piu’ che rivoluzionaria voglia la sua testa. Lo spettatore stesso non vede, anche se sa che esiste, la miseria di coloro che verranno a cercarla.

Dopo il film ci si chiede: ma Marie Anoinette e’ colpevole o innocente? La regina che ci propone la Coppola ha svolto il suo ruolo in un mondo disegnato, guidato e voluto da altri: il suo inetto marito il re, i suoi scellerati consiglieri. Ma questa innocenza, questa inconsapevolezza non e’ essa stessa colpevole? Non doveva lei, nel suo ruolo, preoccuparsi del suo popolo oltre che dell’erede che tutti le chiedono?

Finche’ stiamo a chiedercelo guardando a lei, a un lontano giorno di fine milleseicento, la cosa puo’ non toccarci piu’ di tanto. Ma se non vediamo una inquietante analogia, questo puo’ essere il segno di una nostra colpevole inconsapevolezza. Coppola suggerisce l’analogia in modo sfacciato: balli in maschera con musica rock, altri anacronismi e perfino una scarpa da basket nella collezione di scarpe che la regina si sta provando… Noi siamo come lei: inconsapevoli e forse anche innocenti spose di sovrani inetti o scellerati che stanno affamando e distruggendo non il regno di Francia, ma interi continenti. Questo suggerisce Coppola, assieme alla domanda: che c’e’ di male nel vivere come abbiamo sempre fatto, come ci e’ stato insegnato a fare, nell’unico modo di cui siamo capaci (specie se questo non e’ per nulla sgradevole) anche se questo rappresenta per la maggior parte della popolazione del mondo una incomprensibile e inaccettabile ingiustizia?

Io stesso scrivo ora in una confortevole casa riscaldata, su un costoso computer, e posso filosofare su un film visto dopo essermi ben nutrito. Tutte cose gradevoli. Ma non so cosa fare di diverso, non sono capace di fare altrimenti, se non forse scegliere di risparmiare un po’ di energia, stare attento alle etichette… Proprio come Marie Antoinette, che rimproverata per le sue troppe spese, sceglie di piantare le querce piccole invece che quelle gia’ alte nel suo nuovo giardino.

Ma come e’ successo a lei, anche a noi qualcuno verra’ a suggerire un modo diverso di vivere. E come a lei, nemmeno a noi servira’ un tardivo inchino di scuse al popolo sovrano per salvarsi.

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l'ottimismo e' il deodorante della vita · 2007-01-17 by mmzz

Se l’ottimismo e’ il profumo della vita, evidentemente c’e qualche cattivo odore da coprire.

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Globalizzazione di ritorno · 2007-01-14 by mmzz

In questo Blog di Mark Kaplan" si trova questa sconcertante affermazione:

Speaking of a unified world, one of my American students confided in me after a trip abroad “they don’t seem to have a cafe culture in Italy, do they?” “What?,” I stammered. “Well, I didn’t see a single Starbucks all the time I was there.”

La globalizzazione sta anche nella testa di chi e’ capace solo di vedere il mondo che conosce.

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Individuo, confine e codice · 2007-01-09 by mmzz

angeli e demoni escher

Una ipotesi di lavoro sul significato, la portata e la morfologia del codice nei suoi vari ambiti di applicazione.

Da questa recensione in googlebooks del libro
I Am You: the metaphysical foundations of global ethics di Daniel Kolak:

The traditional, commonsense view that we are each a separate person numerically identical to ourselves over time, i.e., that personal identity is closed under known individuating and identifying borders – what the author calls Closed Individualism – is shown to be incoherent. The demonstration that personal identity is not closed but open points collectively in one of two new directions: either there are no continuously existing, self-identical persons overtime in the sense ordinarily understood – the sort of view developed by philosophers as diverse as Buddha, Hume and most recently Derek Parfit, what the author calls Empty Individualism – or else you are everyone, i.e., personal identity is not closed under known individuating and identifying borders, what the author calls Open Individualism. In making his case, the author: – offers a new explanation both of consciousness and of self-consciousness – constructs a new theory of Self – explains psychopathologies (e.g. multiple personality disorder, schizophrenia) – shows Open Individualism to be the best competing explanation of who we are – provides the metaphysical foundations for global ethics.

Questo approccio aiuta a smontare l’idea di una individualita’ definita una volta per tutte ma non chiude (anzi apre maggiormente) il problema della necessita’ di confini, definizioni e identita’ che comunque servono. Si puo’ giungere ad affermare che un organismo non e’ funzionalmente separato dall’ambiente nel quale e’ immerso, ma non si puo’ evitare di apprezzarne un certo grado di coerenza e/o autonomia interna che la definisce.

Il linguaggio ha proprio (anche?) questa funzione normativa e definitiva attraverso l’attribuzione di parole a determinate entita’ e non ad altre. “La cellula”, “il nucleo”, “l’organo”, “l’individuo”, “Io”, “Io a 12 anni”, “io adesso”, “io fra 20 anni”: tutte queste espressioni hanno la duplice funzione di delimitare cio’ che indicano da cio’ che non indicano costruendo un confine e di attribuire dei significati a quanto sta dentro e di conseguenza altri significati a quanto e’ fuori da questa delimitazione. Nel momento in cui viene posta, la delimitazione e’ necessariamente vaga, imprecisa, si potrebbe dire che prende contorni frattali. L’indagine dettagliata dei confini viene esplicitamente rimandata ( lazy evaluation ) lasciando il soggetto definito all’interno di una nuvola di imprecisione asintotica. La definizione e’ sufficientemente precisa al centro da consentire di maneggiare il termine ma abbastanza imprecisa e sfocata ai bordi da non richiedere l’attibuzione di ogni dettaglio al soggetto. I questo modo il soggetto emerge dal suo ambiente senza che sia necessario separarlo in modo netto (senza che vi sia cioe’ alcuna intersezione col resto dell’universo – operazione impossibile). Ogni successiva indagine attorno al bordo del soggetto non risolve, non scioglie l’incertezza ma l’approfondisce in ulteriori distinzioni: mette a fuoco non solo distinzioni ma ulteriori aree di sovrapposizione.
Questo, a pensarci, e’ anche il destino della ricerca scientifica.

Anche analizzando la natura del confine, restano ancora aperte le questioni: in base a che cosa viene compiuta la definizione? E’ possibile attribuire una oggettivita’ a questo {boundary/border, limen, confine, delimitazione, definizione}? In che misura e’ possibile misurare l’individualita’ di un soggetto e attribuirgli un grado di autonomia da un “altro”? Una ipotesi puo’ essere quella di analizzare il patrimonio di informazione codificata (codice) che il soggetto detiene e valutare quale portata d’azione questo codice raggiunge nella sua espressione.
Ad esempio: i codici legali (le leggi nazionali) consentono attraverso l’osservazione del loro ambito di vigenza di identificare i confini delle nazioni. Il codice genetico e la portata della sua espressione identificano un soggetto vivente. Il codice informatico e il suo ambito di esecuzione identificano un determinato sistema informatico.
Codici piu’ sottilmente definiti come quello linguistico attribuiscono agli individui le appartenenze alle comunita’ etniche e i testi alle varie tradizioni lingistiche. Codici di comportamento condivisi definiscono a volte in modo molto elusivo le appartenenze sociali. Un codice o canone estetico determina una determinata corrente estetica. E giù giù fino al dress code e alle sue implicazioni simboliche e di identità.
L’analisi puo’ articolarsi in molte dimensioni, tra cui vedo senza dubbio:

  1. i codici architetturali, quelli che definiscono la struttura o architettura del mondo: dal codice che norma lo spazio fisico, leggi ignorando le quali tentare di comprendere il mondo fsico “è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”, passando per il codice della vita che regola le forme delle cose viventi, fino all’architettura del cyberspace regolamentata dal codice software (Lessig).
  2. l’elusiva natura del codice economico, fatto forse di listini e cambi, ma anche di codici d’onore e reputazione e il suo effetto su costumi, territorio, ambiente. Le relazioni in cui sta con il codice normativo e con la definizione di uno stato-nazione.
  3. il codice delle leggi scritte, secondo la loro gerarchia, e delle norme non scritte, piu’ o meno condivise e rispettate.
  4. il codice della lingua, con la sua capacita’ di definire e ordinare, nel duplice senso di classificare e imporre un comando (“obliger a dire” come disse Barthes). Va forse inclusa nella lingua ogni forma di espressione codificata in qualche maniera destinata alla comunicazione, ad esempio l’espressione artistica.

La sovrapposizione e l’intreccio nel tessuto del vivere di codici che si contrastano e rafforzano in queste diverse dimensioni e i rapporti che i diversi codici hanno tra loro definiscono e orientano lo spazio vitale favorendo alcune scelte e ostacolandone altre, creando confini-barriera e catalizzando altre dinamiche. Comunita’, ideologie, distretti, nazioni, mode, movimenti, nascono dal sovrapporsi potenziante o inibente di codici appartenenti a diverse dimensioni e dal loro contrasto con codici incompatibili.

Si osservera’ come:

  1. i confini di alcune entita’ sono piu’ definiti di altre: le leggi nazionali hanno confini molto netti, mentre quelli linguistici si confondono tra loro; alcuni codici tollerano la coesistenza con altri codici, mentre altri sono mutuamente esclusivi. La natura dei cio’ che rende certo codice incompatibile con altro va indagata: normativita’ contraddittoria, diversa definizione dei confini, ...
  2. Gli ambiti di definizione procedono per cerchi concentrici, ovvero consentono di identificare sottocodici all’interno dei codici, in modo progressivamente sempre piu’ fine. Un codice identifica un soggetto, ma all’interno di questo e’ possibile identificare una pluralita’ di soggetti che condividono un codice generale ma si distinguono per la vigenza di sottocodici separati. Ma in che modo e’ possibile che viga un sottocodice all’interno di un codice comune? Il codice comune non viene mai espresso nella sua totalita’: non tutte le leggi di una nazione sono raccolte da tutti i cittadini: alcune varranno per le persone fisiche (definendole ed identificandole), altre per i condomini (definendoli), altre per gli “autori di opere d’ingegno”, i “taxisti”, eccetera. In ambito biologico una porzione di codice genetico vedra’ la sua espressione solo in determinati organi (definendo “cuore”, “fegato”, “pelle”, eccetera) e non in altri, o addirittura solo nel nucleo della cellula e non fuori da questo (definendo di fatto il nucleo). Nella loro successiva definizione questi ambiti vedono espressa una porzione determinata di codice che definisce in maniera sempre piu’ precisa l’identita’.

Altri elementi meritevoli di indagine:

  1. Rapporto tra codice, informazione e conoscenza. Conoscenza come informazione che produce un effetto e codice come verbalizzazione dell’informazione in vista della produzione di un effetto. E’ la codificazione cio’ che aggiunge la possibilita’ di azione all’informazione? Rapporto con il processo come prototipizzazione e idealizzazione di una codificazione (algoritmo).
  2. La natura stessa del codice e il fatto che rispecchi una normativita’ induce la possibilita’ di errore e malfunzionamento del codice, di natura esogena o endogena.Comporta di conseguenza la necessita’ che il codice stesso si differenzi in due funzioni distinte: del codice per la produzione del confine e il mantenimento dell’ordine al suo interno e altro codice destinato alla manutenzione del primo tipo di codice: questo puo’ chiamarsi codice epigenetico, burocrazia, codice di controllo di errore, regression code, stile [spiegare]. Il codice di secondo tipo e’ necessario ma puo’ assumere proporzioni abnormi o disfunzionali. Puo’ compromettere il funzionamento del primo tipo di codice. Indagare i limiti del processo:oltre quale rapporto tra codice del primo tipo e quello del secondo tipo viene meno la funzionalita’ (paralisi burocratica, loop, accademia),
  3. Va verificato se e in quali casi l’espressione del codice su un “territorio” o spazio fisico e’ alla base della morfogenesi di quest’ultimo. Si puo’ congetturare che l’interazione tra codici e la morfogenesi si sviluppi secondo la tipologia reaction-diffusion (anche nella prima formulazione di Turing)

voto elettronico · 2006-12-17 by mmzz

Un articolo del Washington Post riferisce che un recente rapporto del National Institute of Standards and Technology (NIST) (USA) dichiara che il voto elettronico “cannot be made secure”, non può essere reso sicuro. Questo rapporto porterà a delle serie conseguenze. E’ la prima volta che si riconosce che il software è intrinsecamente inaffidabile.

Quello che invece il rapporto raccomanda è lo scrutinio elettronico, che facilita il conteggio e riconteggio dei voti. Si raccomandano i sistemi con scanner e lettura ottica. Diffiderei anche di quelli.

Una possibilità alternativa (non presentata nell’articolo) potrebbe essere il vecchio sistema delle matite a grafite conduttiva su schede di carta, da introdurre in macchine elettriche (senza software) che contino i voti delle schede introdotte. La macchina dovrebbe solo dire quanti voti sono presenti nella posizione A, B, C, D corrispondente ai vari partiti, e impilare le schede secondo il voto rilevato, l’assenza di voto o un voto dubbio. Gli scrutatori potrebbero verificare in modo semplice la correttezza dell’operato della macchina, e procedere alla valutazione delle schede con voto dubbio o assente. L’assenza di software renderebbe estremamente difficili eventuali manomissioni.

L’aggregazione del voto potrebbe procedere comunque in modo semi-automatico: il presidente di seggio trasmette i dati sia per via
telematica che per via cartacea, e il ministro deve pubblicare i dati di seggio.
A questo punto qualsiasi soggetto può verificare la coerenza del voto locale con i dati aggregati e ogni manipolazione intermedia può essere rilevata
da chi conosce i dati di seggio.

Politica luogo pubblico della speranza · 2006-11-28 by mmzz

Comprendo le ragioni per cui l’individuo accetta lo stato come stabilizzatore con una ampia inerzia, una isteresi direbbe l’ingegnere, prima di cambiare forma allo stato. Ecco perche’ conta non solo il cosa ma anche il quanto lo stato fa o non fa. Lo stato puo’ farsi mettere in discussione dalla mafia o dai moti indipendentisti, ma non troppo. Questo pero’ pone in primo piano tra i fini della politica lo stabilizzare la societa’: scopo della politica e’ una ragionevole stabilita’ sociale ed economica. Fine in larga parte inconsapevole, verrebbe da pensare, ma passiamo oltre. E’ convincente l’argomento del capitale sociale, o capitale di fiducia senza il quale e’ impossibile costruire una societa’. Abbiamo dunque stabilita’, condizione irrinunciabile perche’ si sviluppi la fiducia, a a mio avviso va aggiunto un terzo termine, che e’ “speranza”, legato fermamente al secondo. Cerco di spiegarmi.

Tutta la nostra vita sociale quotidiana e’ possibile solo grazie alla fiducia come presupposto: nella legge, nel potere, nella vicina di casa, nel guidatore del suv nella rotonda. E’ talmente “convenzionalmente evidente” che e’ in sostanza invisibile, salvo quando la fiducia viene meno. Il terrorista ha appunto lo scopo di disgregare questo tessuto, non solo di sfruttare la fiducia a proprio vantaggio come farebbe un altro criminale (indipendentemente da eventuali cariche ricoperte anziche’ indossate).

Ma e’ possibile vedere la fiducia come l’epifenomeno della speranza in virtu’ della quale viene accordata: spero che un rinnovamento politico migliori la societa’ e la renda piu’ giusta, spero che l’amministratore comunale abbia a cuore la citta’ quanto me, spero che la vicina mi annaffi le piante senza frugare nei cassetti e che il guidatore del suv nella rotonda usi i freni. Se non in virtu’ di una speranza o almeno di una aspettativa, perche’ dovrei fidarmi? In definitiva, la fiducia non e’ solo una “fiducia in” ma una “fiducia che”...

Possiamo vedere la politica come la sfera pubblica della speranza. Che speranza ha il diseredato, il servo della gleba, lo schiavo? Non si estendera’ oltre il domani. Viene in mente Levi: “la speranza di sopravvivere era legata alla speranza di vivere per raccontare”.

Cerchiamo di mettere ordine in queste forze.

Supponiamo di fare come i fisici che partono da una situazione di equilibrio: una societa’ in cui tutto e’ relativamente cheto. Un qualche evento perturba gli animi, suscita una speranza, o procura una delusione: sara’ occasione della presa di consapevolezza della propria condizione (speranza realizzabile o che invece sfuma). La speranza o la delusione spingera’ all’azione, alla partecipazione, la quale rafforzera’ la consapevolezza. Oppure l’evento puo’ impaurire, provocare rassegnazione, tuffare l’individuo nel non-pensiero, congelarlo nella routine, e inibire ulteriori possibilita’ di partecipazione. Le speranze di alcuni non sono le stesse di altri, e cosi’ le azioni politiche si confronteranno, impegnando forze e risorse. La speranza condivisa da molti e’ appunto quella della stabilita’ del sistema, per cui vi saranno ingenti forze impegnate nel realizzare questo fine, anche tra quelli che inizialmente sono disposti a perturbarlo. I mezzi per perturbare e per stabilizzare il sistema saranno quindi principalmente orientati a trasmettere speranze e delusioni, mentre per stabilizzarlo si trasmettera’ paura e senso di rassegnazione.

La religione ha sempre saputo modulare molto bene questi fattori: la speranza nella vita eterna induce a comportamenti virtuosi e a una certa rassegnazione anche se le condizioni di quella presente non sono gran che’, mentre la paura della dannazione e’ minaccia efficacissima anche nei confronti di chi approfitta dei privilegi e se la spassa troppo a spesa degli altri.

I principi vecchi e nuovi fanno lo stesso, “dando ora speranza a’ sudditi che el male non fia lungo, ora timore della crudelta’ del nemico”.

Secernere codice · 2006-11-28 by mmzz

seashell

Tutto cio’ che facciamo e’ secernere codice.

Codice genetico che si riproduce, miti, norme e architetture per le nostre citta’, piazze e mercati, leggi che costruiscono organi e istituzioni,infine codice che anima gli oggetti ai quali imponiamo comportamenti regolati.

Vita, architettura, societa’, mercato. Tutto e’ retto e strutturato da codice che incessantemente tessiamo attorno al nostro vivere e che costituisce il nostro habitat, e anche quando lo demoliamo compone il nostro humus.

Le langage est una legislation, la langue en est le code dice Barthes. Non solo la lingua e il linguaggio. Non solo il libro e il poema, anche il palazzo, il programma,il mercato e perfino i nostri figli sono lingua, codice di una insaziabile sete di poiesi.

Tutto cio’ che facciamo e’ secernere codice, come meglio ci riesce.

Qualità della democrazia · 2006-11-24 by mmzz

Convegno sulla qualità della democrazia.

Il convegno e’ stato interessante anche per uno come me che avendo nella
sua cassetta degli attrezzi appena un cacciavite e non sapendo da che parte si impugna ha probabilmente perso piu’ meta’ delle cose che potevano essere colte, specie quelle piu’ metodologiche.

La sensazione generale che ne ho ricavato e’ che la democrazia sia come il gatto del Cheshire di Alice: a guardarlo bene il gatto svanisce, anche se ne resta il sorriso; magari un po’ tirato, un sorriso non proprio ottimista, determinato forse piu’ dalla necessita’ che dalla virtu’, ma comunque sorriso: confidiamo nella democrazia, anche se ci prende in giro.

La mia impreparazione mi avrebbe portato a considerare come sfide alla democrazia: la extraordinary rendition, la Casa Bianca che dichiara che mentira’ all’indomani dell’11 settembre, processi su scala globale deliberati nazionalmente, l’uso delle tecnologie per impedire ai cittadini di violare le leggi. E soprattutto la pretesa legittimita’ di questi metodi. Ho scoperto, specie da Pizzorno, nuovi piu’ raffinati pericoli e motivi di “ottimismo”. E’ un peccato che Pizzorno non abbia ultimato il ragionamento sulla natura delle leggi.

Pizzorno spiega come con l’abbandono del sistema rappresentativo di mandato, che lega il rappresentante alla delega del rappresentato, i rappresentanti devono, possono interpretare considerando quello che sarà l’interesse di tutti in futuro (e beninteso non il proprio), sostanzialmente negando che ciascuno e’ interprete dei propri desideri, e che questi rispecchino i propri bisogni.

A questo punto, resta da capire se e come la societa’ sia in grado di difendersi dal dilagare del ruolo interpretativo dei propri rappresentanti, che rischia di confinarlo nello “stato di minorita’” da cui l’illuminismo l’aveva tolto.

I rappresentanti hanno pero’ interesse ad approfondire questa asimmetria informativa altamente tossica per la democrazia, e di cio’ non mancano i riscontri, inclusi quelli elencati sopra. Ma anche a trasmettere la sensazione che governare sia cosa complicata, per esperti. Sembra di risentire la voce di Carlo I che “having share in Government is nothing pertaining to them”.
Ma, appunto, Carlo stava per essere separato dalla propria testa.

Roberto Rigobon · 2006-11-23 by mmzz

Questo individuo dice cose interessanti.
Institutions, Geography, and Growth

Non mi sento di condividere molte cose, incluso l’ottimismo e diverse osservazioni. Altre mi sembrano interessanti e innovative, come “constraints on executive is a prerequisite for growth”.

Inoltre il fondo del discorso mi sembra corretto: il percorso per arrivare allo sviluppo e’ importante molto di piu’ dei “modelli corretti” proposti da illuminati economisti.

E poi e’ divertente e cio’ non guasta.

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