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Politica luogo pubblico della speranza · 2006-11-28 by mmzz

Comprendo le ragioni per cui l’individuo accetta lo stato come stabilizzatore con una ampia inerzia, una isteresi direbbe l’ingegnere, prima di cambiare forma allo stato. Ecco perche’ conta non solo il cosa ma anche il quanto lo stato fa o non fa. Lo stato puo’ farsi mettere in discussione dalla mafia o dai moti indipendentisti, ma non troppo. Questo pero’ pone in primo piano tra i fini della politica lo stabilizzare la societa’: scopo della politica e’ una ragionevole stabilita’ sociale ed economica. Fine in larga parte inconsapevole, verrebbe da pensare, ma passiamo oltre. E’ convincente l’argomento del capitale sociale, o capitale di fiducia senza il quale e’ impossibile costruire una societa’. Abbiamo dunque stabilita’, condizione irrinunciabile perche’ si sviluppi la fiducia, a a mio avviso va aggiunto un terzo termine, che e’ “speranza”, legato fermamente al secondo. Cerco di spiegarmi.

Tutta la nostra vita sociale quotidiana e’ possibile solo grazie alla fiducia come presupposto: nella legge, nel potere, nella vicina di casa, nel guidatore del suv nella rotonda. E’ talmente “convenzionalmente evidente” che e’ in sostanza invisibile, salvo quando la fiducia viene meno. Il terrorista ha appunto lo scopo di disgregare questo tessuto, non solo di sfruttare la fiducia a proprio vantaggio come farebbe un altro criminale (indipendentemente da eventuali cariche ricoperte anziche’ indossate).

Ma e’ possibile vedere la fiducia come l’epifenomeno della speranza in virtu’ della quale viene accordata: spero che un rinnovamento politico migliori la societa’ e la renda piu’ giusta, spero che l’amministratore comunale abbia a cuore la citta’ quanto me, spero che la vicina mi annaffi le piante senza frugare nei cassetti e che il guidatore del suv nella rotonda usi i freni. Se non in virtu’ di una speranza o almeno di una aspettativa, perche’ dovrei fidarmi? In definitiva, la fiducia non e’ solo una “fiducia in” ma una “fiducia che”...

Possiamo vedere la politica come la sfera pubblica della speranza. Che speranza ha il diseredato, il servo della gleba, lo schiavo? Non si estendera’ oltre il domani. Viene in mente Levi: “la speranza di sopravvivere era legata alla speranza di vivere per raccontare”.

Cerchiamo di mettere ordine in queste forze.

Supponiamo di fare come i fisici che partono da una situazione di equilibrio: una societa’ in cui tutto e’ relativamente cheto. Un qualche evento perturba gli animi, suscita una speranza, o procura una delusione: sara’ occasione della presa di consapevolezza della propria condizione (speranza realizzabile o che invece sfuma). La speranza o la delusione spingera’ all’azione, alla partecipazione, la quale rafforzera’ la consapevolezza. Oppure l’evento puo’ impaurire, provocare rassegnazione, tuffare l’individuo nel non-pensiero, congelarlo nella routine, e inibire ulteriori possibilita’ di partecipazione. Le speranze di alcuni non sono le stesse di altri, e cosi’ le azioni politiche si confronteranno, impegnando forze e risorse. La speranza condivisa da molti e’ appunto quella della stabilita’ del sistema, per cui vi saranno ingenti forze impegnate nel realizzare questo fine, anche tra quelli che inizialmente sono disposti a perturbarlo. I mezzi per perturbare e per stabilizzare il sistema saranno quindi principalmente orientati a trasmettere speranze e delusioni, mentre per stabilizzarlo si trasmettera’ paura e senso di rassegnazione.

La religione ha sempre saputo modulare molto bene questi fattori: la speranza nella vita eterna induce a comportamenti virtuosi e a una certa rassegnazione anche se le condizioni di quella presente non sono gran che’, mentre la paura della dannazione e’ minaccia efficacissima anche nei confronti di chi approfitta dei privilegi e se la spassa troppo a spesa degli altri.

I principi vecchi e nuovi fanno lo stesso, “dando ora speranza a’ sudditi che el male non fia lungo, ora timore della crudelta’ del nemico”.