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Tecnologie della sorveglianza per limitare la diffusione del COVID19 · 2020-03-31 by mmzz

Da più parti si parla di modello Singapore o modello Nord-Corea per limitare il contagio da virus.
Si tratta di usare sistemi tecnologici per consentire di allertare i cittadini che siano entrati in contatto con persone risultate positive, così da concentrare i controlli e i confinamenti a persone effettivamente a rischio, risparmiando controlli inutili.

A prima vista queste soluzioni hanno delle attrattive: specie quelle che prevedono l’impiego di dispositivi personali che trasmettono in un raggio limitato un segnale con un codice univoco (UUID) e registrano localmente per alcuni giorni (ma non comunicano) gli UUID con i quali entrano in contatto. Tecnologie consolidate per ottenere questo scopo possono essere Bluetooth (presente in smartphone e braccialetti vari) o RFID (usati per tracciare le merci).

Nel caso qualcuno risultasse positivo, dovrebbe rilasciare la propria collezione di UUID, in modo che i rispettivi utenti possano essere avvisati di essere entrati in contatto con una persona a rischio, e prendere provvedimenti.

Le soluzioni basate sul GSM sono meno efficaci e più invasive, infatti tracciano tutta la mobilità delle persone e non tanto i contatti e poi ha delle limitazioni tecniche eccessive: al coperto, ad esempio in luoghi pubblici dove maggiore è la possibilità di contagio, il segnale da satellite è di solito assente.

L’introduzione di un dispositivo del genere ha diverse incognite, sia tecniche che soprattutto giuridiche e sociali.

Stiamo parlando di un dispositivo personale di tracciamento individuale: della mobilità (GPS) o dei contatti individuali (Bluetooth/RFID). Anche se i dati sono mantenuti sul dispositivo personale, anche se hanno una durata limitata, anche se la sua adozione è da prevedere inizialmente su base volontaria, l’efficacia della misura dipende dalla
sua adozione massiva e quindi da una triplice obbligatorietà: (1) che chiunque ne abbia uno e lo porti sempre con sé, (2) che sia obbligato a cedere i dati in caso di positività e (3) che non sia in grado di manomettere i dati, cancellando o inserendo contatti o alterando l’attività del BT.

Sul piano giuridico, come garantire il rispetto di questi obblighi? Con che tutele giuridiche? Che sanzioni devono accompagnarli? Amministrative? Penali?

Dovremo poi garantire che non avvengano abusi, come ad esempio il tracciamento per profilazione commerciale dei clienti in un negozio, pratica già diffusa via wifi e bluetooth dei telefoni cellulari.

Sappiamo che questa emergenza non finirà tra un mese, e che queste eventuali misure accettate in regime di emergenza e sotto la spinta della paura rimarranno molto a lungo e saranno potenzialmente estendibili ad altri contesti, seguendo le emergenze prossime venture.
Sappiamo anche che difficilmente si torna indietro. I provvedimenti antiterrorismo degli anni ’70 sono ancora in vigore, anche se sottoposti a referendum abrogativo: la paura spesso vince sulla libertà.

E una volta che avremo disponibili questi dati rinunceremo forse ad usarli per la lotta al terrorismo? E per la lotta alla mafia? Per la corruzione? Per l’evasione fiscale? E perché non per l’adulterio o il divieto di sosta? E per gli Stati che hanno “superato la democrazia” come sistema di governo, la lotta contro i nemici del popolo.

L’obbligo di tracciare la mobilità personale, o anche solo l’obbligo di rivelare la registrazione dei contatti individuali è una invasione pesante nella libertà individuale, che lascerei volentieri a nazioni diversamente democratiche, ed è per me impensabile che avvenga per decreto.

Il mio appello è che occorre rinunciare ad adottare soluzioni tecnologiche dall’impatto potenzialmente dirompente di cui non si anticipano gli effetti a lungo termine: abbiamo molti esempi che spesso creano più problemi di quanti ne risolvono.