Gilles Deleuze - Le point de vue · 2006-05-17 by mmzz
Gilles Deleuze – Le point de vue
Su Leibnitz, collasso del punto di vista, arte moderna e contemporanea.
Ce que le point de vue saisit c’est ce qui n’a pas d’existence hors de lui, ou si vous preferez, des images sans modele Une genese pure. c’est a dire des images numeriques. [...] Le sujet est en communication avec une table d’information qui lui correspond. Et des donnees s’inscrivent sur cette table. [...] Il y a un monde si il ya une concordance de tables d’information. Je consulte en moi meme une table d’information. La ville c’est un enorme cerveau. C’est le regime des tables d’information, la ville. [...] Chacun a ses informations. [...] Une ligne de pollock, evidemment c’est pas une fenetre sur le monde. La ligne s’inscrit sur une sorte de table d’information.
Braudel · 2006-05-16 by mmzz
Alla ricerca di bibliografia su una periodizzazione che prenda in considerazione la rivoluzione telematica/informatica come caratterizzante dell’era contemporanea, mi imbatto in Arrighi, “Il lungo XX secolo”, che essendo del 1994 non puo’ essere al corrente di Internet piu’ di tanto.
In compenso scopro Braudel.
Il capitalismo puo’ trionfare solo quando si identifica con lo stato, quando e’ lo stato. Nella sua prima grande fase, che coincide con l’ascesa delle citta’-stato italiane, a Venezia, a Genova, Firenze, e’ l’elite del denaro che detiene il potere
Suona familiare. Come mai, mi chiedevo, le multinazionali non si liberano del fardello costituito dagli stati. Cosa gli manca, ancora?
Arrighi (p.35) dice la concorrenza per il capitale mobile tra strutture politiche di grandi dimensioni ma di forza all’incirca uguale e’ stata il fattore maggiormante rilevante e duratuto nell’ascesa e nell’espansione del potere capitalistico nell’epoca moderna
Ah, capito, servono le strutture politiche per garantire economie di scala, Infatti Arrighi poi spiega in questi termini:
- l’autonomia delle citta’ stato italiane,
- il crollo dell’unione Sovietica,
- come mai l’arrivo del capitale mobile sia stata una sventura per i paesi in via di sviluppo invece che un bene,
- la preoccupazione degli USA negli anni ‘80 per l’invasione del capitale giapponese (e come con la svalutazione i nipponici siano stati buggerati).
La cosa piu’ interessante e’ la stratificazione della gerarchia del mondo degli scambi (economia?) che Arrighi cita da Braudel (“Civilta’ materiale, economia e capitalismo” 1981-82) , stratificata in:
- vita materiale, all livello piu’ basso
- economia di mercato
- contromercato, ove fa il suo gioco il capitalismo.
Nel terzo livello o strato il possessore di denaro incontra non il possessore della forza-lavoro, ma quello del potere politico , infatti pochi si sono avventurati al piano superiore, del “contromercato” ove si trova, per usare le parole dell’iperbole di Braudel “il regno dell’arrangiarsi e il diritto del piu’ forte” e dove egli ritiene si nascondano i segreti della “longue duree” del capitalismo storico
Infatti, secondo Braudel, il capitalismo ha capacita’ proteiformi, per cui si conforma a cio’ che meglio soddisfa i suoi scopi, non solo immediati, ma di lunga prospettiva.
Sorge la domanda: siamo in uno di quei momenti in cui il capitale cambia “stato”?
Arrighi, iniziando citando Braudel [81-82] , dice: “insistiamo su questa qualita’ essenziale per una storia d’insieme del capitalismo: la sua plasticita’ a tutta prova, la sua capacita’ di trasformazione e di adattamento” In alcuni periodi, anche lunghi, il capitalismo sembra “specializzarsi” come accadde nel XiX secolo, [...], ma questa e’ una prospettiva di breve termine
E poi Arrighi si addentra e approfondice il concetto:
mi sembra che questi brani possano essere interpretati come una riformulazione della formula generale del capitale di Marx: DMD’. Il capitale monetario D indica flessibilita’, liquidita’, liberta’ di scelta.
M indica caputale investito in una particolare combinazione di input-output in vista di un profitto, Significa quindi concretizzazione, rigidita’, e riduzione delle opzioni aperte. D’ indica liquidita’, flessibilita’ e liberta’ di scelta allargate.
Intesa in questo modo, la formula di Marx ci dice che gli agenti capitalistici non investono denaro in particolari combinazioni di input-output come un fine in se con la conseguente perdita di flessibilita’ e liberta’ di scelta. Al contrario lo fanno come un mezzo per assicurarsi una flessibilita’ e una liberta’ di scelta ancor maggiori in un momento futuro. [...] Il capitale tende a fare ritorno a forme piu’ flessibili di investimento, soprattutto alla sua forma di denaro
Questa lettura, applicata alla attuale passione per le attivita’ finanziarie e “veloci” (se non “vuote”) piu’ che per quelle in cui il capitale e’ cristallizzato in una forma rigida, porebbe indicarci la disponibilita’ del capitale di aderire a nuove modalita’ di creazione di profitto, una volta che queste si manifestino in modo esplicito.
Forse una anteprima di questo lo si e’ visto nell’entusiasmo negli anni ‘90 per le “dotcom”, entusiasmo talmente eccessivo che si e’ investito in qualsiasi cosa vesse una “e-” davanti, fosse anche una “e-bufala”. Oggi, riengo, resta la disponibilita’ ad abbracciare una nuova modalita’ di profitto.
Oltre a queste considerazioni e’ per me fulminante il suggerimento della stratificazione di Braudel.
Infatti personalmente ritengo che ogni progetto, piu’ o meno consapevole, che abbia avuto grande successo abbia questi componenti: stratificazione, modularita’, cooperativita’, apertura. Non avrei pensato di dover aggiungere il capitalismo alla lista che comprende Internet, WWW, Linux, ecc…
Pensando a un modello organico cellulare, la funzione del capitalismo portebbe essere quella del mitocondrio, accumulatore della conoscenza per fornire energia alla collettivita’,
lavoratori di tutti i paesi, divertitevi! · 2005-11-27 by mmzz
Questo era uno degli slogan del maggio ‘68
Ho l’impressione che sia stato preso molto sul serio da tutti, fuorche’ dai lavoratori.
Combinato con il Panem et circenses deve aver dato un bel suggerimento…
Ancora politica · 2005-10-31 by mmzz
Su invito di Anna commento azzardo un commento all’introduzione di Bauman
Dice Bauman :
e’ possibile che l’aumento della liberta’ individuale coincida con l’aumento dell’impotenza collettiva in quanto i ponti tra vita pubblica e vita privata sono stati abbattuti o non sono mai stati costruiti; oppure, per dirla diversamente, in quanto non esiste un modo semplice e ovvio di tradurre le preoccupazioni private in questioni pubbliche e, inversamente, di identificare e mettere in luce le questioni pubbliche nei problemi privati. In assenza di ponti, la comunicazione sporadica tra la sponda del privato e quella del pubblico viene mantenuta con l’aiuto di palloncini che hanno la seccante abitudine di afflosciarsi o scoppiare nel momento in cui toccano terra; e molto spesso prima di giungere a destinazione.
Prima osservazione: e’ proprio vero che e’ aumentata la liberta’ individuale? In quale parte del mondo? E’ proprio vero che l’individuo ha una maggiore concreta possibilita’ di determinare il proprio futuro?
O e’ solo piu’ ampia una gabbia dalle sbarre piu’ solide?
L’arte della politica, se parliamo di politica democratica, consiste nell’abbattere i limiti posti alla liberta’ dei cittadini; ma anche nell’autolimitazione, il che significa rendere i cittadini liberi per consentire loro di stabilire, individualmente e collettivamente, i propri limiti individuali e collettivi.
Condivido l’osservazione che la seconda parte di questa frase sia stata “trascurata”, ritengo anzi che sia un termine eufemistico. La politica e’ stata limitata dai cittadini quando qualche politico ha condotto gli altri alla consapevolezza di una ingiustizia [clinico] o ha deciso, trovati buoni motivi, di sostituirsi ai primi [cinico].
Spesso per fare questo e’ servita “la forza”, ovvero il sangue. Non esprimo giudizi sulla cosa in se’: si vede che e’ proprio necessario comportarsi ancora come scimpanze’ rissosi.
Rispetto al passato nella societa’ occidentale contemporanea vi sono pero’ due fattori che rendono a mio avviso il rivolgimento sempre piu’ difficile:
- la narcosi da benessere, che induce nell’individuo un limitato desiderio di autodeterminare il proprio futuro nella lunga distanza, purche’ quello proposto dalla “religione consumista dei santi ottimisti” appaghi in modo sufficiente i bisogni immediati. Costanzo Preve dice [1], e io condivido: Non ci vuole poi molto a dire chiaramente in buona lingua inglese comprensibile a tutti che l’economia neoliberale ha sostituito la religione precapitalistica nella pretesa di normativita’ dei comportamenti individuali e sociali. Quanto detto da Debord sulla societa’ dello spettacolo che non canta piu’ gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni e’ sempre piu’ vero.
- il controllo sociale ha nuove armi: nuovi mezzi tecnici e nuove giustificazioni politiche. Lo stato di emergenza globalizzato e’ il preludio allo stato d’assedio globalizzato. “Per difendere la tua liberta’, spiacente, devo togliertela”. E’ quanto diceva profeticamente Bernanos ad ogni guerra per la liberta’ ci viene tolto il 25% delle liberta’ che ci rimanevano ed e’ quanto sta accadendo con le leggi intese a tutelare una sicurezza che le leggi stesse minacciano. Contando dalla prima guerra mondiale, inclusa la seconda e la guerra fredda, questa contro il terrorismo e’ la quarta.
Prima della prima guerra mondiale un cittadino si sarebbe indignato difronte ad una perquisizione domiciliare: e’ quanto ci racconta Stefan Zweig in “Mondo di Ieri. Ricordi di un Europeo”. Ora a tutti i cittadini verranno prese le impronte digitali, e potranno essere soggetti a prelievi di DNA. Gattaca e’ dietro l’angolo, e se qualcuno (ad esempio i media) si preoccupa, e’ del problema sbagliato.
Per giustificare una guerra che ci tolga delle liberta’ non serve nemmeno piu’ un nemico definito, identificato: basta un generico ente malvagio globalizzato che come la SPECTRE che trama nel buio e che James Bond deve combattere perche’ la liberta’ sia salva.
E coerentemente con quanto detto da Debord, la rappresentazione della politica e’ sempre piu’ spettacolare e simile a un film, come viene ormai riconosciuto dai piu’ licidi tecnici della sicurezza [2].
Percio’, a mio avviso, “aumentata liberta’” e’ una affermazione da sottoporre a verifica e scrutinio attento, anche se espressa da un illustre studioso.
Sul ruolo della politica, sull’impotenza dell’individuo, sui ponti mai costruiti faccio solo due osservazioni, la prima sugli attori delle scene della politica la seconda su quali siano veramente queste scene.
Chi: una volta limitata la liberta’ di interazione politica al solo voto temo che l’individuo non sia piu’ il soggetto politico principale, se mai lo e’ stato. Nominalmente e’ l’individuo che da’ il voto, e da sempre e’ il partito che media questa delega di potere. E’ in atto pero’ una sempre crescente limitazione del potere che questo voto esprime: attraverso la limitazione dell’azione politica e attraverso la gestione simultanea del consenso e del dissenso che consente il monopolio sostanziale della scena politica.
“La mancanza di alternative schiarisce meravigliosamente le idee”, diceva Kissinger. La presenza di due sole alternative politiche, due sfumature diverse dello stesso colore liberista, non rappresenta una alternativa degna del nome “scelta”.
In questo scenario dominato dall’economia l’azione politica di maggiore influenza e’ quella sulle scelte economiche, che pero’ non e’ piu’ nelle mani di attori politici eletti dal cittadino, ma di organi “tecnici” che forse scelgono anche quali politici le applicheranno.
Si veda il potere del WTO e di quanto e’ successo in Argentina, si vedano le sanzioni che questi organi possono imporre, le scelte in materia di privatizzazioni, di moneta, inflazione, debito pubblico, imposizione fiscale. Si pensi anche al potere che hanno le agenzie di “rating” quando modificano i loro pareri “tecnici”. Come e’ possibile parlare di politica economica in mano ai politici? Altre domande che e’ lecito porsi: chi elegge i tecnici che operano le scelte economiche che una volta facevano i politici?
Quanta parte “politica” vi e’ nelle celte “tecniche” che essi operano? Come mai e’ diventato un tabu’ parlare di azienda pubblica? In base a quale processo democratico?
Dove: Come correttamente osserva Bauman la distanza tra pubblico e privato e’ sempre piu’ ampia. I ponti di cui parla sono forse diventati i ponti levatoi che colmavano i fossati scavati per proteggere il signore dai nemici (inclusi i propri sudditi).
La barriera tra chi sta dentro e chi sta fuori dal palazzo e’ sempre piu’ alta. A Genova nel 2001 c’era un dentro e un fuori.
E chi stava dentro non era chi stava fuori. E fuori non vi era nessuno di coloro che stavano dentro.
Fuori le istanze di una ampia fetta della popolazione, dentro nessuno che potesse rappresentare quelle istanze.
Prima della guerra in Iraq, si e’ vista la prima manifestazione simultanea globale della storia, (grassroot politics, credo direbbero in USA), ma questo non ha avuto alcun effetto reale sul dentro del palazzo. Bauman non puo’ dire che in quell’occasione la preoccupazione privata non e’ diventata questione pubblica!
Semplicemente la preoccupazione pubblica puo’ essere ignorata.[3]
Se vi fosse veramente un processo democratico, dovrebbe esservi qualcuno dentro che rappresenti la voce di coloro che sono fuori a protestare. Magari flebile ed inascoltata, ma dovrebbe esservi.
Peggio ancora, coloro che sono fuori sempre di piu’ rigettano cosi’ radicalmente i metodi di chi sta dentro al punto di non voler entrare. Questo a mio avviso rappresenta la morte della politica, oltre che della democrazia.
L’isolamento sempre piu’ profondo dei leader, la crescente diffidenza nei confronti di chi si impegna in politica, la rinuncia ai summit che richiedono la repressione violenta di un dissenso che “non trova luogo” per esprimersi dentro al palazzo sono a mio avviso altri segni che il problema e’ ben piu’ serio che una “comunicazione sporadica tra la sponda del privato e quella del pubblico”.
[1] http://www.kelebekler.com/occ/prevekant.htm
[2] http://www.schneier.com/essay-087.html
[3] Goering disse, nella prigionia a Norimberga:
Voice or no voice, the people can always be brought to the bidding of the leaders. That is easy. All you have to do is tell them they are being attacked, and denounce the pacifists for lack of patriotism and exposing the country to greater danger. It works the same in any country.
Gilbert, G.M. Nuremberg Diary.
New York: Farrar, Straus and Company, 1947 (pp. 278-279).
On antiviruses and computer security · 2005-10-15 by mmzz
New Tech blog entry in my FSFE blog .
You can protect yourself from viruses with antivirus software, sure. But an antivirus can delete a file if it believes it’s a virus. And what happens if the virus database files used by the antivirus gets corrupted? The antivirus program itself can become the real threat.
Perhaps Antivirus software producers should make us know:
- how virus database files are digitally signed, so that anyone can verify them,
- how virus database files and keys are managed, to check them independently.
- show us the source code.
And the users should:
- avoid the dangers of software monocultures:
- Pushing BITdiversity: Biodiversity applied to IT environment: don’t stick to a single O.S.
- Beware of antivirus monopoly.
- Rethink redundancy:
- OS redundancy: push multiple different operating systems on the key servers and clients. If the virus attacks one OS, the other will likely be safe. Traditional redundancy will fail.
- Antivirus Redundancy: having multiple simultaneous antivirus systems with different signature files.
- Keep the data safe.
- be prepared to access to your data from a different OS.
- avoid proprietary data formats as hell.
This is a short presentation about those ideas.
Il governo · 2005-10-15 by mmzz
Più certi semo noi, che un tanto letterato sa governare, che voi che sublimate l’ignoranti, pensando che siano atti perché son nati signori, o eletti da fazione potente.
Tommaso Campanella – La citta’ del Sole
La verita' · 2005-10-04 by mmzz
- la verita’ non invecchia
- ammesso che la misura del consenso sia derivabile, la verita’ e’ la derivata prima del consenso.
Guy Debord // Bruce Schneier · 2005-09-28 by mmzz
In Terrorists Don’t Do Movie Plots, Bruce Schneier, intelligente guru della sicurezza e analista acuto della nostra piu’ recente paranoia, ripete con sorprendente aderenza quanto il profeta del ‘68 francese Guy Debord (partendo da Feuerbach) dice nel suo film la societe du spectacle.
Il film originale, in francese, puo’ essere scaricato qui con i sottotitoli in inglese, mentre il testo puo’ essere letto qui.
La differenza sta nei punti di vista, ma dicono la stessa cosa. Schneier si preoccupa che i politici siano cosi’ calati nel film di terroristi di cui contribuiscoono a svolgere la trama, mentre lo sguardo di Debord e’ piu’ sociologico e filosofico, con una pesante critica della mercificazione dello spettacolo ( Le spectacle ne chante pas les hommes et leurs armes, mais leurs marchandises et leurs passions ).
Ad esempio Schneier dice: Sometimes it seems like the people in charge of homeland security spend too much time watching action movies. They defend against specific movie plots instead of against the broad threats of terrorism.
e Debord: Le spectacle, compris dans sa totalité, est à la fois le résultat et le projet du mode de production existant. Il n’est pas un supplément au monde réel, sa décoration surajoutée. Il est le coeur de l’irréalisme de la société réelle. Sous toute ses formes particulières, information ou propagande, publicité ou consommation directe de divertissements, le spectacle constitue le modèle présent de la vie socialement dominante.
Non si tratta di finzione, quindi, ma di spettacolo-realta’. Un gigantesco, tragico, reality show, che mettiamo in piedi a nostro uso, consumo e soprattutto a nostro danno.
Sul ruolo della politica come radice dell’azione spettacolare, i punti di vista convergono in modo sorprendente. Sempre Debord: Le caractère fondamentalement tautologique du spectacle découle du simple fait que ses moyens sont en même temps son but.
e ancora: C’est la plus vieille spécialisation sociale, la spécialisation du pouvoir, qui est à la racine du spectacle. Le spectacle est ainsi une activité spécialisée qui parle pour l’ensemble des autres.
E Schneier: One problem is that our nation’s leaders are giving us what we want. Party affiliation notwithstanding, appearing tough on terrorism is important. Voting for missile defense makes for better campaigning than increasing intelligence funding. Elected officials want to do something visible, even if it turns out to be ineffective.
La tragedia nasce dal fatto che lo scopo del combattere il terrorismo non e’ combattere il terrorismo, ma mostrare di farlo, per motivi di visibilita’ elettorale. Questo cortocircuito fa coincidere lo scopo dei terroristi con quello di chi li combatte, generando un incesto non a tutti immediatamente evidente, ma che ci portera’ verosimilmente a ulteriori tragedie future.
Debord avverte lo scivolare progressivo dall’essere all’avere e dall’avere all’apparire, ma quello che forse Debord non ha previsto e’ la brusca impennata di spettacolarizzazione, il fatto che lo spettacolo solo immaginato sia stato superato in orrore e crudezza dallo spettacolo vissuto: dall’11 settembre a Beslan, la ferocia si impossessa della scena.
Risultano appropriate in modo agghiacciante le parole del colonnello Kurz, in Apocalypse now redux(2’51”):
It is impossible to words to describe what is necessary to those who do not know what horror means. Horror. Horror has a face and you must make a friend of horror. Horror and moral terror are your friends. If they are not, then they are enemies to be feared. They are truly enemies.
Kurz, dopo aver descritto un’azione particolarmente efferata compiuta del nemico osserva: I realized, like I was shot with a diamond, a diamond bullet right through my forehead. And I thought: My God… the genius of that. The genius. The will to do that. Perfect, genuine, complete, crystalline, pure. And then I realized they were stronger than we. Because they could stand that these were not monsters. These were men… trained cadres. These men who fought with their hearts, who had families, who had children, who were filled with love… but they had the strength, the strength to do that. If I had ten divisions of those men our troubles here would be over very quickly. You have to have men who are moral… and at the same time who are able to utilize their primordial instincts to kill without feeling, without passion, without judgment, without judgment. Because it’s judgment that defeats us.
A ogni guerra per la liberta', ci viene tolto il 25% delle liberta' che ci restano. · 2005-09-24 by mmzz
Bernanos aveva ragione: A ogni guerra per la liberta’, ci viene tolto il 25% delle liberta’ che ci restano. http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1575411,00.html
nemmeno un anno fa era facile profetizzare che ci sarebbe successo qualcosa del genere.
Quello che mi e’ difficile capire oggi e’: cui prodest?
Rischio la vita per lavoro · 2005-09-14 by mmzz
Due volte al giorno, almeno, rischio la vita.
E’ il mio mestiere.
Lavoro in un ufficio, pesto tasti per ore, seduto su una sedia girevole imbottita.
Il rischio e’ arrivarci, in un ufficio, e tornare a casa.
Negli ultimi tre mesi ho rischiato la vita seriamente tre volte, e il ferimento altre due.
Stamattina l’ultima, sulla rotonda vicino a casa: il nonno deposita il nipotino a scuola, e una volta messo il pargolo al sicuro romba felice sul SUV con barre antibufalo. E io, che bufalo non sono e che attraverso la rotonda in bicicletta, me lo vedo entrare spavaldo guardando a sinistra, mentre io gli stavo davanti. Scampanello in preda al panico. Inchioda in tempo, il nonno. Meno male che ha ancora i riflessi.
Venti chili di bambino sono al sicuro in venti quintali di macchina, ma io rischio di farmi spiaccicare sulle strade della mia citta’ ogni volta che esco di casa. Il SUV e’ il vero nemico del ciclista e del pedone. Se ti investe e’ cinque volte piu’ letale dell’auto. Inquina tutto quello che il ciclista risparmia. E questo solo per la soddisfazione del guidatore che, lui, si sente cosi’ sicuro.
I trattori devono stare fuori dalla citta’.
Certo, posso cercare i percorsi alternativi, ma sono spesso contromano, o prevedono attraversamenti arditi: oltre rischiare (un po’ meno) la vita rischio la multa. Gia’ ne ho una: alle tre di notte, per esser passato col giallo. Due carabinieri annoiati.
Qualche mese fa ho schivato una mamma frettolosa (niente suv, un’utilitaria rossa con 4 bambini a bordo) che entra sparata nella rotonda.
Mi ha scivato ma non si e’ fermata. I bambini mi guardavano inveire e gesticoloare dal lunotto posteriore. Ma mi ha visto bene in faccia, visto che mi e’ passata a 5 centimetri.
Direte: coi semafori si rischiava meno. Si rischiava meno la morte violenta, ma un cancrazzo non te lo toglie nessuno, ad aspettare il verde tra via facciolati e via gattamelata…
Teniamoci le rotonde.
Ma almeno ci fossero i limitatori di velocita’...
Il mio e’ un lavoro pericoloso.