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come nasce un segno · 2010-04-16 by mmzz

Facendo una ricerca del numero 241543903 in un motore di ricerca si troveranno immagini di gente con la testa dentro al freezer.

Non c‘è un particolare nesso tra numero e immagini, salvo che —per convenzione— un certo numero di persone hanno deciso di fare quelle foto e di etichettarle con quel numero. Questa la spiegazione:
http://241543903.com/about-241543903

Questo comportamento mi pare emblematico del processo semiotico per cui a un significante si associa un significato a formare un segno.

significante: 241543903
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significato: mettere la testa nel freezer

Possiamo verificare che il segno “241543903”:

Ovviamente questo segno non ha nessun senso.

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mala tempora (re)currunt · 2010-04-06 by mmzz

“E’ un bisogno del popolo, per molti lati ancora barbaro, il voler essere guidato, diretto, comandato da qualcuno […]. Per questo, quando sulla morta gora della mediocrità parlamentare s’eleva un individuo che —insieme a moltissimi difetti— abbia le qualità che più piacciono alla plebe: la forza, l’orgoglio e l’audacia, egli si trova, presto o tardi, alla testa del governo”. Scipio Sighele, in Lepre-Petraccone — storia d’Italia dallunità ad oggi — Il Mulino 2008, p.86

Scipio Sighele, criminologo morto nel 1912, si riferiva a Crispi.

La maturità di una democrazia forse sta proprio nel mantere la mediocrità della morta gora della comunità politica, che da questa non si alzino flutti troppo alti. Nel temperare cioè gli slanci —in qualsiasi direzione siano diretti— della società civile.

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Every good regulator is a model of the system it regulates · 2010-03-18 by mmzz

Così dicono Conant e Ashby.
Il problema con i sistemi difficili da regolare è che il regolatore ne fa parte.
Come può il regolatore rendere conto di tutta la varietà di un sistema di cui fa parte? Dovrebbe prendere in considerazione anche se stesso, e ciò che è peggio, anche se stesso mentre prende la decisione, e quindi la decisione che ancora non ha preso poichè —appunto— è proprio questa a rendere incompleta la descrizione del sistema da regolare.
Può sembrare un sofisma, ma è un problema molto concreto nella regolazione sociale, in cui occorre prendere in considerazione gli outcome della decisione che si sta prendendo, naturalmente prima di prenderla. E anche se molto spesso lo si fa, è illusorio considerare il sottosistema che prende la decisione come separato ed indipendente dal sistema di cui fa parte.

Ovviamente il decisore nel mondo vero —se non vuole rimanere intrappolato in un loop infinito— opera una chiusura decisionale e decide ad un certo punto di operare una decisione pur non avendo completato la previsione. La conoscenza perfetta in questi sistemi non solo non esiste in pratica, ma nemmeno può esistere in teoria. Il modello non può comprendere tutta la varietà del sistema che regola, se ne fa parte.

Potrebbe essere interessante simulare quali strategie siano più efficaci nel prendere una decisione in vari tipi di situazioni e con varie complessità, con vari tipi di sistemi la cui prevedibilità dipende in grado maggiore o minore dal decisore che lo regola, e in cui di conseguenza la closure avrà un peso maggiore o minore sulla decisione finale e sulla sua abilità di prevedere in modo affidabile il comportamento del sistema.

Si tratterebbe, in definitiva, di simulare il libero arbitrio.

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Senza dubbio · 2010-02-04 by mmzz

Senza dubbio la presenza, in un testo, delle locuzioni “certamente” “non serve dimostrare che”, “come risulta evidente” o “pare del tutto ovvio che” denuncia in quel punto del discorso gli argomenti deboli o di difficile dismostrazione, o con appoggi fragili e incerti, pronti a franare appena indagati. Oppure, in alternativa, dei volgari truismi che rinforzano altri argomenti debolissimi.

Converrete con me che è del tutto superfluo dimostrare tale ovvietà.

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Crisi dello Stato e governance · 2010-01-21 by mmzz

L’irritante irenismo e la retorica progressista che accompagnano termini come “governance”, la “democrazia deliberativa” o i “processi partecipativi” presentati come panacea della “crisi dello Stato”, nascondono spesso (da parte di chi li sa impiegare) l’uso strategico e governamentale di questi mezzi, e (da parte degli altri) un vuoto cognitivo sui limiti degli stessi che spesso prelude ad un ricco banchetto per i pescecani.

E poi lo Stato sta meglio che mai: tra gli altri, ha il monopolio della caccia al pescecane. Non ha bisogno di rotte transoceaniche tracciata dalle ideologie, che portino o a albe radiose dell’avvenire o viceversa a stati leggeri e perfetti, “autoregolati come il mercato”; non servono nemmeno i portolani delle regole rigorose e saggi piloti che guidino le manovre nel porto delle nebbie delle politiche pubbliche. Il piccolo cabotaggio è sufficiente: obiettivi a breve raggio, naviglio leggero, ripari in caso ti tempesta se ne trovano sempre… Chiunque può guidare uno Stato, tanto non è lui a farlo.

Se la mancanza di alternative schiarisce le idee (Kissinger), il loro moltiplicarsi le confonde. E se non puoi batterli, confondili.

Eppure le comunità che costruiscono il proprio ambiente —dai villaggi di montagna alle comunità open source— hanno da sempre trovato i propri codici, delle condotte di condotte condivise. Spesso trovando le proprie verità senza troppi formalismi: “rough consensus and running code”.

Ci dovrà pur essere un modo…

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Wordle · 2010-01-19 by mmzz

I miei tag del.icio.us secondo il tagcloud di Wordle

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materia, energia, informazione · 2009-12-28 by mmzz

  1. massa = [misura della] quantità di materia [in un oggetto]
  2. energia = [misura della] possibilità [di un sistema] di compiere lavoro
  3. informazione = [misura della] quantità di stati che è possibile distinguere [in un sistema]

Dell’informazione va detto che “Information is inevitably tied to a physical representation and therefore to restrictions and possibilities related to the laws of physics and the parts available in the universe.”1

le tre definizioni si riferiscono a due elementi invarianti e uno variabile. Le parti invarianti sono (1) il processo di misurazione attraverso il quale l’osservatore è in grado di porre in relazione una osservazione con altre confrontabili (ad esempio attraverso un numero o un ordinamento); (2) il confine dell’oggetto o sistema, che deve essere (nei limiti del possibile) chiuso e definito nel corso della misurazione. La parte variabile è appunto l’oggetto della misura, ciò che la misura intende rilevare in quanto è variabile. La misurazione presuppone in chi la compie un modello dell’oggetto o del sistema.

Vi è un principio di equivalenza massa-energia (Einstein) ma —al momento, che sappia — nessun principio di equivalenza massa-informazione o informazione-energia. Mentre è possibile (anche solo teoricamente) trasformare materia in energia e viceversa, non è possibile trarre materia o energia dall’informazione (magari!) o viceversa immaginare una trasformazione che converta materia in informazione (con la scomparsa della materia e la comparsa di informazione).
Credo sia possibie affermare che l’energia si può “trasformare” in informazione, nel senso che ogni processo di creazione, distruzione, trasformazione dell’informazione richiede (come qualsiasi altro processo) dissipazione di energia. Tuttavia anche l’ entropia del sistema aumenta sempre ogni volta che una di queste trasformazioni si compie, mentre l’informazione può aumentare nel caso questa trasformazione comporti la capacità di distinguere un maggior numero di stati nel sistema. Perciò l’aumento di entropia è necessario se vi è un aumento di informazione, ma non è sufficiente (cioè non tutti gli aumenti di entropia corrispondono ad un aumento di informazione).

Perciò lo scambio di materia e/o energia tra due sistemi, può comportare un aumento della informazione (ciò negli stati distinti) interna ai due sistemi, mentre sicuramente comporta un aumento dell’entropia nel sistema composto dai due sistemi in comunicazione e nel canale che essi usano.
Di solito chiamiamo comunicazione lo scambio di materia/energia (nella forma di segnali) che comporta un aumento dell’informazione.

L’aumento dell’informazione nel sistema avviene alle spese dell’ambiente, nel quale aumenta l’entropia.

[1] Rolf Landauer, The physical nature of information, Physics Letters A, Volume 217, Issues 4-5, 15 July 1996, Pages 188-193, ISSN 0375-9601, DOI: 10.1016/0375-9601(96)00453-7.

[2] Michael C. Parker, Stuart D. Walker, Information transfer and Landauer’s principle, Optics Communications, Volume 229, Issues 1-6, 2 January 2004, Pages 23-27, ISSN 0030-4018, DOI: 10.1016/j.optcom.2003.10.019

PS: Ringrazio roto per gli scambi di punti di vista sulla questione.

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Criterio di distinzione tra discipline scientifiche · 2009-12-24 by mmzz

Propongo di dividere le discipline tra quelle il cui oggetto di studio necessita della disciplina stessa per esistere e quelle che invece possono farne a meno.
Es: l’ingegneria non puo’ fare a meno degli ingegneri, ma l’economia puo’ fare a meno degli economisti. La fisica segue le sue leggi senza i fisici, la politica senza politologi. La psiche senza psicologi. La statistica richiede gli statistici e la medicina ha bisogno dei medici. La giurisprudenza senza avvocati e giudici sparirebbe. Tuttavia le lettere sopravviverebbero ai propri studiosi. ….

Tre dimensioni del mutamento nei sistemi. · 2009-12-18 by mmzz

Vi sono tre direzioni secondo le quali si registra un mutamento nei sistemi complessi:

I tre assi di tale movimento sono quello (nello stesso ordine):

I tre assi vedono una oscillazione continua nell’evoluzione del sistema che cambia:

I tre assi danno luogo a dei piani e un volume, nel quale è possibile osservare il mutamento nel sistema secondo le componenti prevalenti in un dato momento.

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L'artefice di nomi, l'artefice di cose e l'amnesia della genesi. · 2009-12-12 by mmzz

Chi si avvicina da neofita, come me, allo studio della biologia, non può non restare sconcertato da molte cose. In primo luogo sull’oggetto dello studio: la vita e la materia vivente (sembra un ossimoro). In secondo luogo dalla complessa opera che è il suo affascinante studio.

Della prima, è sbalorditiva la apparente facilità con cui la vita escogita sistemi estremamente complessi, che a noi appaiono come macchine complicatissime e diffcili da comprendere anche dopo che se ne sono svelati i segreti del funzionamento. Percorsi paralleli (“convergenze evolutive”) che portano a funzioni simili in organismi o sottosistemi diversi, o viceversa, riuso di soluzioni già impiegate per funzioni diverse. La vita sembra dispiegare da una parte una sbalorditiva capacità di invenzione e innovazione anche a costo di considerevoli dispendi di energia nell’esplorazione del possibile spazio di soluzioni possibili; dall’altra manifesta delle formidabili capacità di essere efficiente, di conservare e sfruttare le risorse già reperite (non solo quelle materiali, ma anche quelle “informative, cioè di possibili soluzioni a problemi).
Ciò che toglie il fiato quando ci si pensa, è che tutto ciò avviene senza soluzione di continuità da una scala dimensionale che parte dal micron fino a ordini percepibili direttamente. La biologia molecolare rileva organizzazioni sulle scale molecolari che poi si ripetono sulle scale cellulari, che si ripetono ancora a quelle di organismi multicellulari (quali noi siamo), che — volendo procedere oltre la biologia — si organizzano socialmente e diventano oggetto di studio di sociobiologia, etologia, sociologia, politica, organization science , mangement, economia. Analoghi meccanismi di regolazione, “attrezzi”, fenomeni osservati.
Appare evidente a questo punto come vi sia un problema epistemologico: chi studia non può che proiettare sull’oggetto osservato delle forme già note. E situandosi chi osserva, l’uomo, a metà circa della ampia scala dimensionale assunta di suoi molteplici oggetti di studio, applicherà ad esso ciò che già conosce, e conoscerà per similitudini, metafore, isomorfismi, analogie rispetto a ciò che già ha conosciuto.

Foucault coglie il momento storico in cui questo passaggio si compie (les mots et les choses:323): Lorsque l’histoire naturelle devient biologie, lorsque l’analyse des richesses devient economie, lorsque surtout la réflexion sur le langage se fait philologie, […] l’homme apparait avec sa position ambigue d’objet pour un savoir et de sujet qui connait: souverain soumis, spectateur regardè […]

E qui veniamo allo studio della biologia.
Due cose in particolare mi hanno colpito. L’attuale biologia, quella molecolare, va alla scoperta di codici che non conosce e che scopre o presume esistano: genetico, epigenetico, della proteomica, segnalazioni tra oggetti diversi. Attraverso l’osservazione del comportamento della materia vivente, nella sua elementare decomposizione in catene di amminoacidi, proteine, molecole complesse, polimeri, mira alla costruzione di stringhe (di genoma, di sequenze metilate, acetilate ecc, di successioni di proteine) o diagrammi che ne rappresentino le configurazioni, le architetture, le strutture spaziali. In questo assomiglia, specularmente, all’ingegneria, che invece parte dalla costruzione di diagrammi, stringhe (formule, sequenze di istruzioni per uomini, macchine o calcolatori) per arrivare alla costruzione di oggetti i cui comportamento siano noti, prevedibili e affidabili, siano essi un ponte, una casa, una ferrovia, un programma per calcolatore. Vista in questo modo lo studio biologico della meteria vivente è una immensa opera di ingegneria rovesciata, di reverse engineering, o viceversa, l’ingegneria (intesa come applicazione dell’ingegno umano, in senso lato) come una immane riproduzione dei meccanismi già messi in atto dalla vita su scale dimensionali inferiori: abbiamo pompe, meccanismi di trasporto, strutture che danno resistenza (alla trazione o alla tensione) o flessibilità, canali, “centrali” e “fabbriche”, traduzioni tra codici diversi o trascrizioni, eccetera.

La seconda osservazione sullo studio della vita, nella quale si riassumono le prime due, riguarda i nomi, la terminologia. Nel conoscere siamo costretti a distinguere e quindi a dare dei nomi (“l’artefice di nomi distingue gli oggetti quando li scopre” e dunque si fa legislatore, dice Platone per bocca di Socrate nel Cratilo). Nel distinguere gli oggetti di studio e nel dare loro dei nomi ci affidiamo necessariamente a ciò che già conosciamo.
Ora, qui si pone una importante differenza. Il nome posto da chi costruisce un sistema secondo il proprio ingegno è molto diverso dal nome di chi osserva un sistema che ne scopre gli elementi. I codici che regolano un sistema e gli elementi che lo compongono sono conosciuti in molto diverso se se ne scrivono le istruzioni, come fa un programmatore, o se se ne scoprono le intricatezze, come fa il biologo. Pertanto anche i nomi saranno diversi. Infatti i nomi dell’ingegneria si rifanno convenzionalmente alla funzione dei componenti e dei codici in modo da rispecchiare l’intenzione di chi li progetta: un giunto si chiama così perchè tale è la sua funzione. E anche se la genesi di alcuni di questi nomi si perde nel tempo (perchè “giunto”, “dado”, “vite”, o “tabella”, “routine”, “funzione”?) tuttavia è indiscussa la funzione di un oggetto quando a questo è assegnato quel dato nome.
I nomi della biologia, invece, raramente si rifanno a funzioni note, proprio perchè la funzione dell’oggetto studiato è spesso proprio ciò che chi lo studia ignora e desidera scoprire. Infatti i nomi dei componenti dei sistemi viventi (geni, organelli, proteine, …) possono rifarsi alla forma (catenina, tubulina, globulina, elica, foglietto), alla composizione (secondo la teminologia chimica), alla struttura di appartenenza (le porine fanno parte di pori, ecc), a nomi più o meno di fantasia (come Sonic Hedgehog, e molti altri), al rapporto con altri oggetti (SoS: “Son of Sevenless” o BoSS: “Bride of Sevenless”) o anche alla funzione (quella osservata al momento della scoperta: claudina, occludina, coating protein, polimerasi, RNA messaggero, ecc). Così può accadere che una volta scoperta una funzione e trovato un nome, vengano scoperte successive funzioni per lo stesso oggetto, ma il nome ormai è dato, oppure che nomi per uno stesso gene in specie diverse siano diverse o viceversa. Il problema della nomenclatura in biologia è noto, ma pare irrisolvibile .

Questa inesattezza ed ambiguità dei nomi deriva dal desiderio di scoprire un sistema senza la conoscenza che ne ha il progettista, ma con la terminologia e l’approccio epistemologico di chi invece lo progetta. E’ un problema che non tocca l’ingegnere che progetta un sistema, che ha a che può attingere a una libreria di termini sempre esatti, univocamente definiti nella loro funzione, denominazione, morfologia, rapporti con altri elementi nel sistema. Sempre Foucault (les mots et les choses: 132) scrisse Mais si tous les noms etaient exacts, si l’analyse sur laquelle ils réposent avait été parfaitement réflechie, si la langue etait “bien faite”, il n’y aurait aucune difficulté a prononcer des jugements vrais, et l’erreur, dans le cas ou elle se produirait, serait aussi facile a déceler et aussi evidente que dans un calcul algebrique.

L’associazione epistemologica tra macchina e sistema vivente ha radici lontane che di cui testimoniano Hobbes, Descartes e La Mettrie (“l’homme machine”, 1748) che applicano all’organizzazione del vivente la metafora della macchina (cioè conoscono la vita atraverso la conoscenza della macchina e le parole ad essa collegate). Il più diffuso testo di biologia cellulare, molecular biology of the cell (Alberts et al.), definisce il muscolo cardiaco una Precisely Engineered Machine , il termine “mechanism” ricorre 311 volte su circa 1300 pagine e quello “machinery” 115. Ma anche l’ingegneria, specie quella di sistemi complessi ha poi attinto a piene mani dalla terminologia biologica: si pensi a Wiener, “Cybernetics or Control and Communication in the Animal and the Machine”, o alle applicazioni sistemiche delle ricerche del biologo von Bertalanffy che pubblica una “teoria generale dei sistemi”, fino a Ross Ashby con “Design for a brain”, eccetera. La metafora meccanicistica e quella organica si sono fuse e hanno permeato i rispettivi campi e quelli di altre discipline (in modo più evidente economia e management). La rivoluzione portata dalla tecnologia digitale ha portato alla invenzione di nuove parole applicate poi in svariati ambiti. A chi studia la biologia oggi non può sfuggire il continuo ricorso a metafore meccaniche, industriali, sistemiche con terminologie ingegneristiche, come “meccanismo” “apparato” “machinery” “segnale”, così come l’ingegneria, specie informatica, ricorre sempre più apertamente alla biologia e alla ricerca biologica.

Ritornando alla riflessione sui nomi, quelli della vita e quelli dell’ingegno, vi è tuttavia una profonda differenza tra l’artefice di cose di quali si conoscono i nomi, e l’artefice di nomi per oggetti che si scoprono via via. Questa differenza rispecchia la diversa conoscenza della genesi degli oggetti del proprio sapere. I primi, quali possono essere ingegneri, programmatori, architetti, conoscono la genesi dei progetti già compiuti. Sappiamo che in qualsiasi momento possiamo chiedere loro conto a loro di come si sono composti, stratificati ed innestati i sistemi, i programmi, gli edifici più complessi. Il biologo invece continuamente lavora nella doppia oscurità di ciò che deve scoprire e di come sia avvenuto che ciò che va cercando si sia costituito. La filogenesi, la stratificazione delle successioni di eventi, ostacoli, fallimenti, percorsi seguiti e percorsi alternativi, è un problema di secondo ordine costamntemente sullo sfondo rispetto al primo, quello di scoprire “come funzionano” i sistemi che si sono evoluti.

Bourdieu (per una teoria della pratica: 213) scrisse che “l’amnesia della genesi […] non può che invocare i misteri dell’armonia prestabilita o i prodigi della concertazione cosciente”. In effetti la riflessione sulla vita è più che mai il luogo in cui l’assenza di una filogenesi nota suggerisce il ricorso a costruzioni metafisiche (anche in questo caso, con vari nomi: ultimo quello dell’Intelligent design). Se un domani remoto perdessimo (come sembra probabile che avvenga) ogni memoria di come abbiamo costruito un Internet che si fosse evoluto al punto da non richiedere più alcun intervento umano, immancabilmente la sua genesi verrebbe attribuita non allo sforzo prolungato di molti agenti indipendenti guidati dalla capacità di correggere i propri molteplici errori e dalla somma di migliaia di fallimenti per ogni singolo successo, ma dal disegno di una sola mente illuminata, forse sovraumana.

Va detto che, per quanto riguarda l’origine della vita, l’ampiezza del mistero e la profondità del tempo in cui esso si immerge richiede comunque il ricorso a una qualche forma di fede, anche in quella delle forze della selezione e dell’evoluzione.

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