Go to content Go to navigation Go to search

open megapatterns · 2007-09-19 by mmzz

Sto seguendo, per motivi trasversali, il convegno Berlin5 (il
sequel della dichiarazione di Berlino sull’“open access” della
produzione scientifica) che si tiene proprio a Padova in questi
giorni. E’ sorprendente come le “issues” dell’open access ricalcano in modo quasi noioso quelle dell’open source. Aspetti ideali, la qualita’, la bassa consapevolezza del problema da parte della massa, il rapporto con il contesto economico, incluso quello del business model corretto (questa volta per gli editori invece che per le sw house). Unico punto che il mondo FOSS non si e’ posto (al contrario di quello Open Access) e’ il rischio di cancellazione della memoria. Gia’, che cosa resta dei programmi “perdenti”? Lo stesso pattern, mutatis mutandis, nell’industria dell’entertainment (video, musica): e’ quanto ci raccontano da anni quelli del Berkman center (Lessig, Fisher, Benkler). Capisco che vi siano dei problemi nello studiare in modo scientifico questi megapatterns”, man non varrebbe la pena identificarne alcuni tratti ricorrenti, almeno per risparmiare modelli e convergere sulla terminologia? La ricerca dell’identita’ mi pare che sia uno dei pattern comuni dei tre mondi: la produzione scientifica, di codice e “artistica” fornisce all’autore, prima ancora che reddito, identita’: un lavoro “identificante” che si contrappone efficacemente a quello dominante, che e’ invece “alienante”. Questa risposta (di Francesco Rullani) riassume a mio avviso in modo assai efficace le motivazioni a partecipare. Un secondo pattern e’ che per poter fare questo, l’individuo da solo (il pensatore di Rodin) puo’ poco o nulla, serve un ambiente al quale tutti contribuiscono in un gioco collaborativo. Anche se il discorso di “standing on the shoulders of giants” sembrerebbe acquisito, poi scopriamo di avere problemi a distribuire il genoma decodificato della “bird flu”. Vabbe’... La rivoluzione digitale ha potenzialmente sollevato dalla dipendenza dei vettori verso il mercato (editori, software house,
distributori) proprio i prodotti culturali immateriali. La loro apertura, che una volta era subordinata ai limiti tecnici dei meccanismi di distribuzione, ora puo’ essere maggiore, se non totale, subordinatamente ad un fattore chiave: il reperimento di nuovi equilibri economici, ben rappresentato dalla ricerca del sacro graal del business model, presente in tutti e tre i mondi “colpiti” da questa rivoluzione. Non mi sorprenderei se questi equilibri fossero soggetti a una qualche comune condizione, visti (con tutte le differenze) i fattori comuni.

Addendum:
I parellelismi erano già statti notati da Glyn Moody in un articolo su Linux Journal (via Peter Suber)

Prima ancora, sia Lessig in Open Access and creative common sense
che Willinsky in The unacknowledged convergence of open source, open access, and open science
hanno affrontato piu’ direttamente il problema.