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Marx e la produzione-2.0 · 2007-03-10 by mmzz

Può essere difficile, almeno in prima battuta e a un profano come me, conciliare la teoria Marxiana del valore con la produzione collaborativa distribuita che vediamo affermarsi in questi tempi (“produzione-2.0”). Mi riferisco in particolare al free software, ma anche a Google, a Wikipedia, eccetera. Una molteplicità di soggetti producono qualcosa che è difficile classificare come merce secondo Marx, ma che ha indubbiamente un valore, sia d’uso che di scambio, e non lo fanno solo per sé, ma – consapevolmente – per una utilità sociale. Nelle prime pagine del Capitale (seguendo Aristotele), Marx dice: una cosa può essere un valor d’uso senza essere un valore di scambio. Basta per ciò che sia utile all’uomo senza derivare dal lavoro di lui. Tali sono l’aria, le praterie naturali, un suolo vergine, ecc. Una cosa può essere utile ed anche risultare dal lavoro dell’uomo senza essere merce. Chiunque col lavoro delle proprie mani provvede al soddisfacimento di propri bisogni, crea soltanto valori d’uso personali. Per produrre merci, egli deve produrre non solo valori d’uso in genere, ma valori d’uso per gli altri, valori d’uso sociali.
Poco oltre, parlando della divisione sociale del lavoro, precisa che essa è condizione necessaria ma non sufficiente perché vi sia produzione di merci. Fa l’esempio: nel vecchio comune indiano il lavoro è socialmente diviso, senza che per questo i prodotti divengano merci.

In definitiva, se vi è lavoro, questo può avere valor d’uso (esser utile) senza che abbia valore di scambio (condizione per essere definita merce) solo se il frutto del lavoro non è utile ad altri che colui (o coloro) che lo producono. La produzione sociale di beni privi di valore di scambio sembra essere prevista da Marx quando ammette che vi possa essere divisione del lavoro senza l’automatica qualificazione del prodotto in merce.

Poco oltre Marx spiega quale tipo di rapporto sociale debba instaurarsi per consentire che il bene sia fruito dalla collettività pur evitando che abbia luogo lo scambio e quindi la trasformazione del bene prodotto in merce. Posso azzardare che in questa categoria potrebbe ricadere il free software: viene prodotto per uso personale e distribuito ad una collettività che sempre per sé lo adatta, estende e modifica. Il valore aumenta con l’accumulazione di lavoro e la sua divisione, senza però che vi sia necessariamente scambio. Quello che cambia è l’estensione di della parola “personale” e di quanti individui cadono sotto il suo ombrello. In questo senso si potrebbe dire che non vi è scambio finché tra lavoratore e prodotto si mantiene questo rapporto di “uso personale”. Il rapporto sociale si instaura (costruzione di una community attorno al software-prodotto) perché possa essere mantenuto il vincolo personale e che questo non possa essere rotto dall’insorgere di un rapporto che sia esclusivamente di scambio. Ma questo pone un secondo problema, ovvero che attorno allo stesso prodotto possano sussistere rapporti che siano simultaneamente d’uso personale per una comunità e di scambio per un’altra.

Il prodotto nato per l’uso personale (anche da parte di una ampia comunità) sempre più vede l’interesse del mondo industriale e commerciale: ad esempio molte imprese pagano dei programmatori perché contribuiscano a scrivere, aggiornare ed accrescere dei prodotti software nati e manutenuti da una community di programmatori non salariati. Come è possibile che coesistano queste due realtà che per Marx sembrano essere ipso facto mutuamente esclusive nel momento in cui attorno al prodotto avviene uno scambio?
Nella comunità free software l’insorgere di rapporti di scambio attorno al prodotto è generalmente ammessa (dalle licenze) purché non vi sia la rottura di quello che prima ho chiamato “vincolo d’uso personale”. Cioè che rimanga possibile a chiunque, attraverso l’accesso al codice sorgente, di adattare il prodotto come se fosse (e infatti lo è ancora) d’uso personale. Questo doppio canale d’accesso al prodotto, sia per l’uso personale che per l’uso “di scambio” potrebbe consentire simultaneamente ad un bene di avere “valor d’uso personale” e valore di scambio.
Non è chiaro nemmeno che collocazione possa avere il lavoro domestico in questa classificazione. O si ammette all’interno della famiglia, oltre alla divisione del lavoro, anche lo scambio, o anche questo è privo di valore.
In parte risponde Marx stesso: Questa scissione del prodotto del lavoro in oggetto utile ed oggetto di valore si allarga nella pratica non appena lo scambio acquista sufficiente estensione ed importanza, perché tali oggetti utili siano prodotti con l’intento di scambiarli, sicché il carattere di valore di codesti oggetti è già preso in considerazione nel momento in cui vengono prodotti. Marx sembra sostituire la precedente categorica distinzione con un continuum tra uso e scambio sul quale il prodotto trova collocazione, a seconda di due parametri: l’uso prevalente e l’intenzione di chi lo produce. Questo può andar bene per spiegare il lavoro domestico, in cui il prodotto viene usato sotto gli occhi di chi lo produce e che può far valere la sua intenzione. Più difficile applicarlo a un prodotto (come software, audio, video,...) la cui agevole replicazione e distribuzione sottrae il possibile effettivo uso dal controllo di chi lo ha effettivamente prodotto. Per far valere l’intenzione esiste appunto la licenza d’uso, che nel caso del free software (ma anche delle licenze creative commons) ribadisce il possibile uso personale del bene, anche limitando il suo valore di scambio (clausole noncommercial). Quello che risulta impossibile determinare è l’uso prevalente, essendo la diffusione completamente sottratta dal controllo del produttore.

Ma veniamo a come questa coesistenza sia possibile. Iniziando a parlare di denaro, Marx scrive: Dal momento che un oggetto utile oltrepassa colla sua abbondanza i bisogni del suo produttore, esso cessa d’essere valore d’uso; presentandosi l’occasione, sarà utilizzato come valore di scambio. [...] Lo scambio delle merci inizia là dove le comunità finiscono [...]. Dal momento che le cose sono diventate merci nella vita comune del forestiero, esse lo divengono ugualmente per contraccolpo nella vita comune interna, [...] Con l’andare del tempo una parte almeno degli oggetti utili è prodotta col proposito dello scambio.
Ma ecco che nella nuova produzione (software free e media digitali) vi è una novità, anzi tre: La prima: il prodotto non è mai finito, ma continuamente aggiornato, accresciuto. Se non lo è, muore e sparisce. La seconda: chiunque, intervenendo sul prodotto per accrescerlo, può esserne il produttore, rinnovando il rapporto d’uso che vi è con il prodotto. La terza; l’accesso a tutti i prodotti costa come l’accesso a uno solo. Queste caratteristiche consentono che il confine della comunità venga continuamente portato avanti, dal momento che il forestiero, il nomade che scambia il prodotto, può esservi in qualsiasi momento incluso. Il prodotto si offre continuamente, non essendo cristallizzato una volta per tutte, all’intervento del lavoro concreto anche da parte di chi lo acquista attraverso scambio. Ad esempio chi paga un programmatore per produrre un determinato software e, esaurita con uno scambio la propria necessità, può offrirlo a una potenziale comunità d’uso, della quale entrerà egli stesso (se ritiene), che, anche senza ulteriori scambi, si prenderà cura del programma, per il valore d’uso che questo avrà per la comunità dei suoi utenti. In qualsiasi momento potranno esservi degli scambi, ma finché il programma sarà disponibile a una comunità d’uso, questi non riusciranno mai a mercificare definitivamente il prodotto.