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L'artefice di nomi, l'artefice di cose e l'amnesia della genesi. · 2009-12-12 by mmzz

Chi si avvicina da neofita, come me, allo studio della biologia, non può non restare sconcertato da molte cose. In primo luogo sull’oggetto dello studio: la vita e la materia vivente (sembra un ossimoro). In secondo luogo dalla complessa opera che è il suo affascinante studio.

Della prima, è sbalorditiva la apparente facilità con cui la vita escogita sistemi estremamente complessi, che a noi appaiono come macchine complicatissime e diffcili da comprendere anche dopo che se ne sono svelati i segreti del funzionamento. Percorsi paralleli (“convergenze evolutive”) che portano a funzioni simili in organismi o sottosistemi diversi, o viceversa, riuso di soluzioni già impiegate per funzioni diverse. La vita sembra dispiegare da una parte una sbalorditiva capacità di invenzione e innovazione anche a costo di considerevoli dispendi di energia nell’esplorazione del possibile spazio di soluzioni possibili; dall’altra manifesta delle formidabili capacità di essere efficiente, di conservare e sfruttare le risorse già reperite (non solo quelle materiali, ma anche quelle “informative, cioè di possibili soluzioni a problemi).
Ciò che toglie il fiato quando ci si pensa, è che tutto ciò avviene senza soluzione di continuità da una scala dimensionale che parte dal micron fino a ordini percepibili direttamente. La biologia molecolare rileva organizzazioni sulle scale molecolari che poi si ripetono sulle scale cellulari, che si ripetono ancora a quelle di organismi multicellulari (quali noi siamo), che — volendo procedere oltre la biologia — si organizzano socialmente e diventano oggetto di studio di sociobiologia, etologia, sociologia, politica, organization science , mangement, economia. Analoghi meccanismi di regolazione, “attrezzi”, fenomeni osservati.
Appare evidente a questo punto come vi sia un problema epistemologico: chi studia non può che proiettare sull’oggetto osservato delle forme già note. E situandosi chi osserva, l’uomo, a metà circa della ampia scala dimensionale assunta di suoi molteplici oggetti di studio, applicherà ad esso ciò che già conosce, e conoscerà per similitudini, metafore, isomorfismi, analogie rispetto a ciò che già ha conosciuto.

Foucault coglie il momento storico in cui questo passaggio si compie (les mots et les choses:323): Lorsque l’histoire naturelle devient biologie, lorsque l’analyse des richesses devient economie, lorsque surtout la réflexion sur le langage se fait philologie, […] l’homme apparait avec sa position ambigue d’objet pour un savoir et de sujet qui connait: souverain soumis, spectateur regardè […]

E qui veniamo allo studio della biologia.
Due cose in particolare mi hanno colpito. L’attuale biologia, quella molecolare, va alla scoperta di codici che non conosce e che scopre o presume esistano: genetico, epigenetico, della proteomica, segnalazioni tra oggetti diversi. Attraverso l’osservazione del comportamento della materia vivente, nella sua elementare decomposizione in catene di amminoacidi, proteine, molecole complesse, polimeri, mira alla costruzione di stringhe (di genoma, di sequenze metilate, acetilate ecc, di successioni di proteine) o diagrammi che ne rappresentino le configurazioni, le architetture, le strutture spaziali. In questo assomiglia, specularmente, all’ingegneria, che invece parte dalla costruzione di diagrammi, stringhe (formule, sequenze di istruzioni per uomini, macchine o calcolatori) per arrivare alla costruzione di oggetti i cui comportamento siano noti, prevedibili e affidabili, siano essi un ponte, una casa, una ferrovia, un programma per calcolatore. Vista in questo modo lo studio biologico della meteria vivente è una immensa opera di ingegneria rovesciata, di reverse engineering, o viceversa, l’ingegneria (intesa come applicazione dell’ingegno umano, in senso lato) come una immane riproduzione dei meccanismi già messi in atto dalla vita su scale dimensionali inferiori: abbiamo pompe, meccanismi di trasporto, strutture che danno resistenza (alla trazione o alla tensione) o flessibilità, canali, “centrali” e “fabbriche”, traduzioni tra codici diversi o trascrizioni, eccetera.

La seconda osservazione sullo studio della vita, nella quale si riassumono le prime due, riguarda i nomi, la terminologia. Nel conoscere siamo costretti a distinguere e quindi a dare dei nomi (“l’artefice di nomi distingue gli oggetti quando li scopre” e dunque si fa legislatore, dice Platone per bocca di Socrate nel Cratilo). Nel distinguere gli oggetti di studio e nel dare loro dei nomi ci affidiamo necessariamente a ciò che già conosciamo.
Ora, qui si pone una importante differenza. Il nome posto da chi costruisce un sistema secondo il proprio ingegno è molto diverso dal nome di chi osserva un sistema che ne scopre gli elementi. I codici che regolano un sistema e gli elementi che lo compongono sono conosciuti in molto diverso se se ne scrivono le istruzioni, come fa un programmatore, o se se ne scoprono le intricatezze, come fa il biologo. Pertanto anche i nomi saranno diversi. Infatti i nomi dell’ingegneria si rifanno convenzionalmente alla funzione dei componenti e dei codici in modo da rispecchiare l’intenzione di chi li progetta: un giunto si chiama così perchè tale è la sua funzione. E anche se la genesi di alcuni di questi nomi si perde nel tempo (perchè “giunto”, “dado”, “vite”, o “tabella”, “routine”, “funzione”?) tuttavia è indiscussa la funzione di un oggetto quando a questo è assegnato quel dato nome.
I nomi della biologia, invece, raramente si rifanno a funzioni note, proprio perchè la funzione dell’oggetto studiato è spesso proprio ciò che chi lo studia ignora e desidera scoprire. Infatti i nomi dei componenti dei sistemi viventi (geni, organelli, proteine, …) possono rifarsi alla forma (catenina, tubulina, globulina, elica, foglietto), alla composizione (secondo la teminologia chimica), alla struttura di appartenenza (le porine fanno parte di pori, ecc), a nomi più o meno di fantasia (come Sonic Hedgehog, e molti altri), al rapporto con altri oggetti (SoS: “Son of Sevenless” o BoSS: “Bride of Sevenless”) o anche alla funzione (quella osservata al momento della scoperta: claudina, occludina, coating protein, polimerasi, RNA messaggero, ecc). Così può accadere che una volta scoperta una funzione e trovato un nome, vengano scoperte successive funzioni per lo stesso oggetto, ma il nome ormai è dato, oppure che nomi per uno stesso gene in specie diverse siano diverse o viceversa. Il problema della nomenclatura in biologia è noto, ma pare irrisolvibile .

Questa inesattezza ed ambiguità dei nomi deriva dal desiderio di scoprire un sistema senza la conoscenza che ne ha il progettista, ma con la terminologia e l’approccio epistemologico di chi invece lo progetta. E’ un problema che non tocca l’ingegnere che progetta un sistema, che ha a che può attingere a una libreria di termini sempre esatti, univocamente definiti nella loro funzione, denominazione, morfologia, rapporti con altri elementi nel sistema. Sempre Foucault (les mots et les choses: 132) scrisse Mais si tous les noms etaient exacts, si l’analyse sur laquelle ils réposent avait été parfaitement réflechie, si la langue etait “bien faite”, il n’y aurait aucune difficulté a prononcer des jugements vrais, et l’erreur, dans le cas ou elle se produirait, serait aussi facile a déceler et aussi evidente que dans un calcul algebrique.

L’associazione epistemologica tra macchina e sistema vivente ha radici lontane che di cui testimoniano Hobbes, Descartes e La Mettrie (“l’homme machine”, 1748) che applicano all’organizzazione del vivente la metafora della macchina (cioè conoscono la vita atraverso la conoscenza della macchina e le parole ad essa collegate). Il più diffuso testo di biologia cellulare, molecular biology of the cell (Alberts et al.), definisce il muscolo cardiaco una Precisely Engineered Machine , il termine “mechanism” ricorre 311 volte su circa 1300 pagine e quello “machinery” 115. Ma anche l’ingegneria, specie quella di sistemi complessi ha poi attinto a piene mani dalla terminologia biologica: si pensi a Wiener, “Cybernetics or Control and Communication in the Animal and the Machine”, o alle applicazioni sistemiche delle ricerche del biologo von Bertalanffy che pubblica una “teoria generale dei sistemi”, fino a Ross Ashby con “Design for a brain”, eccetera. La metafora meccanicistica e quella organica si sono fuse e hanno permeato i rispettivi campi e quelli di altre discipline (in modo più evidente economia e management). La rivoluzione portata dalla tecnologia digitale ha portato alla invenzione di nuove parole applicate poi in svariati ambiti. A chi studia la biologia oggi non può sfuggire il continuo ricorso a metafore meccaniche, industriali, sistemiche con terminologie ingegneristiche, come “meccanismo” “apparato” “machinery” “segnale”, così come l’ingegneria, specie informatica, ricorre sempre più apertamente alla biologia e alla ricerca biologica.

Ritornando alla riflessione sui nomi, quelli della vita e quelli dell’ingegno, vi è tuttavia una profonda differenza tra l’artefice di cose di quali si conoscono i nomi, e l’artefice di nomi per oggetti che si scoprono via via. Questa differenza rispecchia la diversa conoscenza della genesi degli oggetti del proprio sapere. I primi, quali possono essere ingegneri, programmatori, architetti, conoscono la genesi dei progetti già compiuti. Sappiamo che in qualsiasi momento possiamo chiedere loro conto a loro di come si sono composti, stratificati ed innestati i sistemi, i programmi, gli edifici più complessi. Il biologo invece continuamente lavora nella doppia oscurità di ciò che deve scoprire e di come sia avvenuto che ciò che va cercando si sia costituito. La filogenesi, la stratificazione delle successioni di eventi, ostacoli, fallimenti, percorsi seguiti e percorsi alternativi, è un problema di secondo ordine costamntemente sullo sfondo rispetto al primo, quello di scoprire “come funzionano” i sistemi che si sono evoluti.

Bourdieu (per una teoria della pratica: 213) scrisse che “l’amnesia della genesi […] non può che invocare i misteri dell’armonia prestabilita o i prodigi della concertazione cosciente”. In effetti la riflessione sulla vita è più che mai il luogo in cui l’assenza di una filogenesi nota suggerisce il ricorso a costruzioni metafisiche (anche in questo caso, con vari nomi: ultimo quello dell’Intelligent design). Se un domani remoto perdessimo (come sembra probabile che avvenga) ogni memoria di come abbiamo costruito un Internet che si fosse evoluto al punto da non richiedere più alcun intervento umano, immancabilmente la sua genesi verrebbe attribuita non allo sforzo prolungato di molti agenti indipendenti guidati dalla capacità di correggere i propri molteplici errori e dalla somma di migliaia di fallimenti per ogni singolo successo, ma dal disegno di una sola mente illuminata, forse sovraumana.

Va detto che, per quanto riguarda l’origine della vita, l’ampiezza del mistero e la profondità del tempo in cui esso si immerge richiede comunque il ricorso a una qualche forma di fede, anche in quella delle forze della selezione e dell’evoluzione.