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CEI e società civile · 2007-04-01 by mmzz

Cerco di capire cosa è stato detto da Bertone a Genova in merito a dico eccetera: dal sito della diocesi di Genova vengo rimandato a quello dell’Avvenire che avrebbe “correttamente interpretato” quanto detto dal card. Bertone. Questa la parte saliente dell’ articolo, : «Certamente – [Bertone] ha spiegato ai presenti – se noi come cattolici usassimo solo ed esclusivamente delle ragioni di fede, giustamente saremmo fuori da questo dinamismo democratico che è il confronto delle ragioni. Confronto retto, onesto, il più possibile pacato e rispettoso, cosa che non sempre accade». Proprio per ovviare a tali obiezioni, ha esortato l’arcivescovo, «dobbiamo sempre più abituarci, ancorati alle ragioni della nostra fede, ed imparare ad usare le ragioni della ragione». In ballo, ha continuato il presule c‘è una «corretta antropologia». Il rischio è la mancanza di «un criterio oggettivo per giudicare il bene il male». Se il criterio è quello «dell’opinione pubblica generale», allora, «è difficile dire dei no». Perché, ha detto ancora l’arcivescovo, «dire di no all’incesto o al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano?». Contro queste «aberrazioni già presenti almeno come germogli iniziali», è difficile resistere, «se viene a cadere il criterio antropologico dell’etica che è anzitutto un dato di natura e non di cultura». Fine citazione.

La cosa preoccupante, più dell’improprio riferimento a pedofilia e incesto (visto che non vi sono, che io sappia nemmeno in Olanda, leggi che li consentono) è l’affiancamento del criterio oggettivo a quello del dinamismo democratico delle opposte ragioni.La mia preoccupazione è duplice:

  1. In primo luogo denuncia una visione della partecipazione sociale alla vita politica paternalista (o maternalista?) molto antica e altrettanto dura a morire, quella che fa dire a Giorgio primo ai sui sudditi ?? Liberty and Freedom consists in having the government of those laws by which their life and their goods may be most their own, ‘tis not so for having share in government, that is not pertaining to them.??, cioè la libertà non è cosa per tutti e non riguarda tutto. Ma appunto, dopo aver pronunciato tali sincere parole, ebbe la testa spiccata dal busto. Cosa propone in definitiva Bertone? Su questioni morali della massima importanza, deve decidere un soggetto diverso dal popolo sovrano nella sede democratica parlamentare. Alcune questioni sfuggono a chi non ha criteri di valutazione oggettivo e corretto secondo una antropologia e una visione del vero e del giusto che non è quella di tutti, ma di pochi.Questa visione denuncia in primo luogo una povertà di cultura democratica, anche se diffusa. In secondo luogo lo scendere in campo della CEI è l’ammissione di una sconfitta: se tali valori facessero parte del senso comune, non servirebbe combattere, come ideologia tra altre ideologie, nell’arena democratica. La formazione dei valori nella società civile forse potrebbe essere più efficace se fosse meno autoritativa.
  2. Il secondo motivo di preoccupazione è meno teorico e più pratico: il paradigma secondo cui una elite illuminata decide quale debba essere l’“antropologia” vera, giusta e dominante, potrebbe sopravvivere anche al cambiare degli equilibri di forze tra religioni. Un domani infatti potrebbero prevalere numericamente altre religioni o ideologie, basate anch’esse senz’altro su qualche altro inoppugnabile dato di natura e diversi criteri etico-antropologici forti, e che prescrivono, ad esempio, come valori il ruolo subordinato della donna nella società, o determinate regole alimentari, Lasciare che vi siano dei soggetti privilegiati significa lasciare fuori dalla società civile la discussione su quali siano i valori che meritano di essere difesi e quali invece possono essere aperti al dibattito parlamentare. Dovremmo forse che vi siano soggetti etici con maggior titolo di decidere senza discutere le opposte libertà? Ma proprio attorno a chi debbano essere questi soggetti abbiamo visto scorrere troppo sangue negli scorsi secoli e decenni, e proprio per questo abbiamo una costituzione e dei principi democratici. Questi sanciscono la separazione tra Stato e Chiesa. Le chiese di paesi ora democratici che sono state oppresse in passato prendono opportunamente posizioni molto ferme a favore di tale separazione. Si veda in proposito la recente dichiarazione della conferenza episcopale giapponese

Vedo confermato una volta di più che i vertici ecclesiastici italiani (che non voglio associare alla Chiesa delle parrocchie e delle missioni), più che dell’annuncio del Vangelo si preoccupano di affermare una Verità che sempre di meno viene condivisa dai fedeli, ormai abituati a trovare e vivere i propri valori anche nelle ambiguità della società secolarizzata. Il rischio per la Chiesa italiana è che le capiti quello che impedì a Giorgio primo di enunciare altre verità: che il suo capo si separi dal corpo.
La Chiesa potrebbe forse accettare fattivamente che la democrazia, il pluralismo, il dialogo sono componenti ineliminabili del mondo in cui viviamo, e che le Verità (anche con la maiuscola) si confrontano con altri valori. Certo, questo ha il costo di un certo relativismo che obbliga a discutere le proprie ragioni, a vederle messe su un piano di parità con altre; ma il vantaggio è una pace sociale che non siamo più disposti a esporre al rischio delle guerre di religione fra opposte Verità o ideologie.

Una modesta proposta: forse li vescovi italiani, su proposta dei sui fedeli, potrebbe fare un esperimento di democrazia per comprenderne meglio le dinamiche, e aprirsi essa stessa a qualche processo elettorale. Se non erro l’elezione del segretario della CEI, attualmente (unica al mondo) è di nomina papale. Perché non fidarsi dei vescovi italiani e lasciare che eleggano essi stessi democraticamente il proprio rappresentante?